Ci sarebbe molto da dire e da criticare sulle risoluzioni del G20 che si è tenuto a Roma il 30 e il 31 ottobre 2021: le aspettative erano alte ma i risultati sono stati ancora una volta alquanto timidi e non poteva che essere così. Quello che invece dobbiamo cercare di valutare sono i progressi compiuti: sono pochi ma l’alternativa sarebbe il silenzio su una serie di problemi. È stato un successo personale che si riflette necessariamente sul Paese quello ottenuto dal nostro presidente del Consiglio. Dopo anni di marginalità l’Italia è riuscita a porsi al centro di un summit internazionale e non solo perché si è svolto a Roma, ma per come si è svolto.

Sarebbe troppo facile ripetere la litania che abbiamo recitato rispetto alle conclusioni dei vertici G20 precedenti: non soddisfatte le attese, deluse le speranze. A scavare in profondità potremmo dire cose del genere, ma sarebbe troppo facile. Nonostante conflitti e rivalità. Anche se possiamo avanzare critiche e perplessità sul vertice romano: la mancata fissazione di un anno in cui si smette di aumentare l’inquinamento con le emissioni di anidride carbonica, la non calendarizzazione della velocità della somministrazione in tutto il mondo dei vaccini contro il covid 19. L’aiuto ai paesi poveri per la ristrutturazione ecologica è ancora molto generico. Ci saremmo aspettati qualche cosa in più.
Ma abbiamo capito che nonostante i limiti e le assenze il G20 non è stata una riunione superflua. Far parlare tra loro i capi di stato e mettere a confronto su problemi comuni i paesi più strutturati economicamente e tecnologicamente è sempre e comunque un fatto positivo, nonostante i conflitti aperti, le rivalità in essere e le differenze politiche ed economiche.

Seguendo il dibattito ci siamo resi conto come discussioni di questo genere siano complicate e che non possono sfuggire a compromessi a volte estremamente vaghi, ma intanto possiamo prendere atto che l’imposta minima che fino a poco tempo fa era giudicata impossibile ora sta assumendo un contorno reale, il che ci dice che la discussione può anche uscire dalla vaghezza e avviare nuovi e interessanti percorsi. Potremmo dire lo stesso sulle vaccinazioni per il 70% della popolazione mondiale che al momento rimane un obiettivo fissato sulla carta, ma è un segnale positivo suffragato dal fatto che una task force dovrebbe migliorare i canali di soccorso e che si sono parallelamente concordati i primi siti di produzione di vaccini in Africa.

Il capitolo più difficile è sicuramente stato quello della politica climatica. Del resto lo si poteva presumere anche perché non tutti i paesi sono nella situazione di poter reggere un cambiamento di prospettiva di questa natura, ma nel comunicato finale l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi si è reso più concreto. Parte dei sussidi al carbone dovrebbero andare in scadenza e veder finalmente arrivare gli aiuti ambientali ai paesi più poveri.
Certo mi si potrà dire che tutto questo non è sufficiente per contenere efficacemente il cambiamento climatico, ma mettere in atto una politica climatica condivisa significa anche determinare convergenze globali non solo di natura strutturale ma negli stili di vita, di produzione e di consumo. Mi chiedo, vedendo le proteste di opposizione al green pass, se siamo come popolazione pronti a modificare le nostre abitudini di consumo, ad assumere il rispetto dell’ambiente come stile comportamentale, a mettere in atto modelli di vita più sobri e solidali, ad accantonare l’individualismo egoista per orientarci verso un vivere sociale segnato e guidato dall’empatia.

Il vertice romano è stato un primo passo nella direzione, ora il passo decisivo toccherà al vertice sul clima che si tiene a Glasgow. Quanto conseguito a Roma, pur con le sue manchevolezze e timidezze, dimostra che è possibile affrontare questioni cruciali e affrontarle insieme, del resto sapevamo che le decisioni del G20 non sono mai la fine di un percorso, ma sono sempre l’inizio di un cammino. Sono stato a Roma, da vecchio militante sindacale, a vedere una iniziativa sindacale in contemporanea allo svolgimento del G20. Credo che sui temi affrontati dal summit vi sia la necessità e l’opportunità di un’azione politico-culturale del sindacato. Il sindacato è chiamato a definire delle priorità, di scegliere fra come rappresentare gli interessi dei lavoratori su questi temi a breve e lungo periodo, a rivendicare interventi che tutelino dentro i cambiamenti che si renderanno necessari le persone al lavoro, sia sul terreno dei redditi, della salute, delle pensioni e del welfare; con particolare attenzione alle figure più deboli del mercato del lavoro e nel contempo di saper rappresentare senza cadere in logiche corporative coloro che posseggono buone professionalità.

Il tornado della Pandemia ci ha dimostrato che il virus si può sconfiggere con i Vaccini, un buon sistema sanitario, l’educazione alla prevenzione, ma anche con il lavoro. Poiché mentre eravamo in preda della pandemia, ogni mattino ci sono state persone che si recavano al lavoro negli ospedali, nelle aziende sanitarie, nelle residenze sociali, ma anche nei luoghi di produzione e nei servizi consentendo in tal modo a Paese di non declinare e di potersi riprendere come gli ultimi dati economici ci stanno dimostrando. La questione ambientale si può risolvere se viene abbinata alla dimensione sanitaria e a quella del lavoro e dell’occupazione dignitosa, iniziando da quella dei licenziamenti , del salario minino e del superamento di ogni precarietà.