Il G20 di Roma è stato il summit del rilancio del multilateralismo e della cooperazione internazionale. La prima applicazione concreta al principale tema del meeting, il clima e la transizione ecologica, non è stata esaltante, traducendosi, come lo stesso Mario Draghi ha detto, nel poter parlare di successo, ma soltanto nel senso che si è mantenuto vivo un sogno, che si era appannato, e nel condividere in linea generale, e con diversi “ distinguo”, due obiettivi: l’innalzamento delle temperature limitato al massimo a 1,5 gradi, nonché le emissioni-zero entro il 2050 (per Russia e Cina, invece, entro il 2060).

C’è chi vede il “ bicchiere mezzo pieno” e chi lo vede “mezzo vuoto”: dalle speranze disattese, ma non affossate del Segretario generale dell’Onu, Antònio Guterres, al successo segnalato da Joe Biden. Il multilateralismo, diffusamente elogiato, anche perché fa seguito al mercantilismo di Donald Trump, per ora è un auspicio che deve essere soggetto a verifiche, in particolare nei rapporti con Paesi quali Russia e Cina. Non è la prima volta che, a livello internazionale, ci si cimenta nel perseguimento di questo obiettivo. Già in occasione del Giubileo del 2000 vennero promosse iniziative per un nuovo ordine internazionale, soprattutto in campo economico e monetario. Era l’epoca in cui si introdusse, a livello teorico, ma anche nei meeting internazionali, il concetto di bene pubblico globale, quale l’acqua, l’alimentazione, la difesa dalle malattie, etc. Il seguito fu però quasi nullo.

Dopo la crisi finanziaria dei “subprime” scoppiata negli Usa e poi trasferitasi nel vecchio Continente, quindi estesasi ai debiti sovrani, si tornò a parlare della necessità di nuove regole globali, “il global legal standard”. Si sostenne l’obiettivo di rifondare, per rispondere alla globalizzazione e all’esigenza di governarla in qualche modo, lo “ ius gentium”, riprendendo Grozio e De Vitoria. Passato il grosso della crisi finanziaria e dei debiti pubblici, le aspirazioni ideali, anche eccessive, furono accantonate. Ora registriamo un rilancio. Ma il multilateralismo esige regole e istituzioni adeguate. Non può fondarsi esclusivamente sulla volontà politica, essendo essa certamente un presupposto necessario, ma non sufficiente, dei singoli Stati. Le attuali istituzioni economiche e finanziarie devono essere riconsiderate, a cominciare dall’Organizzazione mondiale del commercio.

La governance globale deve corrispondere a una logica unitaria e le specifiche competenze, definite all’indomani della seconda guerra mondiale per diverse istituzioni (quelle di Bretton Woods), devono essere adeguate agli sviluppi, ma pure alle involuzioni della globalizzazione, se si vuole dare sostanza alla formula del nuovo ordine internazionale. In questo quadro, andrebbero altresì riconsiderati i rapporti tra il Fondo monetario internazionale, il Financial Stability Board e la Banca mondiale per fare del primo una sorta di Banca centrale mondiale preposta al monitoraggio della liquidità internazionale e della seconda un intermediario globale soprattutto specializzato, ancor più rispetto all’oggi, nel sostegno finanziario ai paesi poveri.

La produzione delle regole dovrebbe essere opera di fonti normative unitarie, prevedendosi altresì la diretta cogenza nei singoli paesi. Insomma, quel che in passato più volte è stato tentato senza alcun valido risultato, l’epidemia e i disastri indotti dal clima potrebbero rendere meno difficile, nel presupposto, però, che si abbia presente la complessità del problema e non si pensi che “ ex abrupto” siamo passati a un multilateralismo già pienamente operante.