La maternità per altri e il reato universale
Gravidanza per altri, il Parlamento se ne frega della Consulta

C’è un latente stridore tra le dichiarazioni rese dalla Presidente Silvana Sciarra lo scorso 13 aprile, in occasione della relazione annuale sull’attività della Corte costituzionale, circa l’esigenza di tutelare il superiore interesse dei minori, anche in relazione a coppie omoaffettive, e le proposte di legge attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera che vogliono punire il reato di maternità surrogata anche se commesso all’estero.
Non perché la Corte ammetta tale pratica procreativa, sulla quale anzi essa ha più volte espresso un giudizio durissimo. La maternità surrogata, infatti, “offende in modo intollerabile la dignità della donna, mina nel profondo le relazioni umane” (sentenza n. 272/2017), asseconda “un’inaccettabile mercificazione del corpo” (sentenza n. 79/2022) e comporta spesso il “rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate” (sentenza 33/2021). In definitiva, essa contrasta con l’imperativo kantiano per cui bisogna agire “in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai solo come mezzo”.
Né tale intervento legislativo pare privo di motivazione, se è vero che vi sono coppie (prevalentemente eterosessuali) che si recano all’estero (c.d. turismo procreativo) per aggirare il divieto di maternità surrogata in Italia (art. 12.6 legge n. 40/2004) e che, una volta rientrati, per consolidata giurisprudenza non sono considerati perseguibili perché vi hanno fatto ricorso in uno Stato in cui essa è legale. Anzi, la stessa Corte costituzionale, in sintonia con la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha ritenuto legittimo che uno Stato non incoraggi o fornisca incentivi “anche solo indiretti” a tale pratica (sentenza n. 33/2021). È vero che nel nostro ordinamento l’essere puniti per azioni o omissioni commessi all’estero costituisce un’eccezione alla regola che vuole puniti solo i reati commessi in Italia (art. 6 c.p.).
Tali eccezioni (art. 7 c.p.) si giustificano o perché il reato pregiudica preminenti interessi statali (ad esempio stampare all’estero banconote false); o perché a sua volta anche lo Stato estero, con cui si è stipulata un’apposita convenzione, considera quella fattispecie reato (c.d. doppia incriminazione); oppure, infine, perché si tratta di reati previsti da speciali disposizioni di legge la cui particolare gravità giustifica l’applicazione della legge penale italiana anche quando non riconosciuti come reati dallo Stato in cui vengono commessi. Non è vero, dunque, anche alla luce della controversa giurisprudenza sul punto (v. il Dossier del Dipartimento Giustizia del Servizio studi della Camera n. 76 del 22 marzo), che occorra sempre la “doppia incriminazione” per perseguire all’estero ciò che consideriamo reato in Italia. E meno male, verrebbe da aggiungere, se è vero che ai diritti fondamentali della persona occorre sempre dare il massimo livello di tutela.
È in nome di questo principio che, superando il criterio di “doppia incriminazione”, come uno straniero può essere punito se commette un fatto considerato lecito nel suo Paese ma reato nel nostro, parimenti un italiano può essere punito se commette in uno Stato estero un fatto colà considerato lecito ma ritenuto da noi reato. Peraltro, va significativamente notato che tra i reati già oggi perseguibili anche se commessi all’estero vi è la tratta di donne e di minori commessa all’estero (art. 537 c.p.), cioè un reato che, al pari della maternità surrogata, si connota per la riduzione in schiavitù della persona e nella sua mercificazione, offendendone in modo intollerabile i diritti e la stessa dignità di persona umana. Allora dove sta lo stridore di cui dicevamo ad apertura? Essenzialmente in tre punti.
In primo luogo, il legislatore, volendo rendere la maternità surrogata “reato universale” accomuna sotto la medesima concezione negativa fattispecie che possono essere diverse e che quindi andrebbero meglio tipizzate. Un conto è infatti il c.d. “utero in affitto” in cui la produzione di ovociti e/o la gestazione per altri avviene dietro compenso economico. Altro è la surrogazione di maternità per altruismo o spirito samaritano, specie quando tra la madre intenzionale e la gestante intercorra uno stretto rapporto biologico di parentela (madre-figlia, sorelle). Già oggi il nostro ordinamento ammette atti dispositivi del proprio corpo purché gratuiti e non causino una diminuzione permanente della propria integrità fisica (sangue, midollo osseo, tessuti e cellule umani e staminali). In particolare, è consentita la donazione volontaria e gratuita di gameti ed embrioni a fini di fecondazione eterologa (artt. 12.6 legge n. 40/2004 e 3.2.c) Carta dei diritti fondamentali dell’UE), ammessa dalla Corte costituzionale (sentenza n. 162/2014). Seguendo la ratio di tale sentenza, si può ritenere ammissibile il ricorso alla gestazione per conto di altri – gratuita e/o samaritana – nel caso specifico in cui una donna sterile non sia in grado di portare avanti la gravidanza?
Ma è soprattutto sul versante della tutela dei figli nati comunque da maternità surrogata che il legislatore è colpevolmente manchevole, non cogliendo questa occasione per recepire il pressante invito rivolto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 33/2021 e ribadito dalla Presidente Sciarra. Com’è noto, anche sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla Corte di Strasburgo, oggi dei figli di coppie omosessuali nati all’estero viene trascritto in Italia sollo il genitore biologico (ad esempio la madre gestante che ha prodotto gli ovociti oppure il padre che ha prodotto gli spermatozoi) mentre il genitore intenzionale – che ha condiviso con il partner il progetto di genitorialità – può solo ricorrere all’adozione in casi particolari. Soluzione che la ministra Roccella giustifica proprio in virtù del divieto di maternità surrogata, colpevolmente omettendo che ad essa ricorrono le coppie omosessuali maschili ma non quelle femminili, i cui figli per questo motivo taluni Sindaci continuano a trascrivere, ritenendo giusta
mente non estensibile ad esse la sentenza delle sezioni unite civili della Cassazione (n 38162/2022, riguardante i figli di due padri) e poi generalizzata dalla circolare del Ministero dell’Interno.
Una soluzione – la c.d. stepchild adoption – che, per la Corte costituzionale, “costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali” perché “non attribuisce la genitorialità dell’adottante” e non offre piena tutela all’interesse del bambino ad “ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono ad entrambi i componenti della coppia”. Da qui, l’invito della Corte al legislatore ad intervenire sul punto. Invito, come al solito, finora disatteso, tant’è che la stessa Corte, rompendo gli indugi, ha dichiarato incostituzionale la disposizione che impediva all’adottato di avere legami giuridici con i parenti dell’adottante (sentenza n. 79/2022) onde garantire parità di condizioni a tutti i figli.
Le proposte di legge in discussione – ed è qui che si radica quello stridore di cui dicevamo – non solo non colgono l’occasione per intervenire sul punto ma vanno in direzione esattamente contraria. È evidente, infatti, il rischio che l’eventuale introduzione del reato universale di maternità surrogata induca il genitore intenzionale o la coppia che abbia fatto ricorso a tale pratica negli Stati in cui è consentita a rinunciare alla trascrizione dell’atto di nascita per il timore delle conseguenze penali cui andrebbe incontro. Il risultato allora sarebbe esattamente il contrario di quello desiderato: recidere ogni possibile legame con il genitore intenzionale, considerato un estraneo o confinato nell’illegalità.
Se a tutto ciò si aggiunge l’incerta perseguibilità di tale reato a causa del difficoltoso accertamento della condotta punita, è forte la sensazione che di trovarsi ancora una volta dietro ad una norma penale manifesto, in cui l’esigenza di lanciare un messaggio propagandistico al proprio elettorato induce, più o meno colpevolmente, ad ignorare le conseguenze negative che si produrrebbero in una materia che meriterebbe invece un approccio più sistematico e complessivo in cui, anziché limitarsi alla pur condivisibile repressione penale di tale odiosa pratica anche se commessa all’estero, si cogliesse l’occasione per offrire a tutti i figli nati, indipendentemente dal sesso dei genitori, una più adeguata e paritaria tutela dei loro superiori interessi.
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