Nella testa di Darina risuonano i boati delle bombe russe che ha sentito cadere sulla sua Kharkiv, mentre si nascondeva con la famiglia e alcuni amici nel sottoscala del palazzo. Ha 19 anni, studiava Filosofia nella stessa Università che fu bombardata nei primi giorni di guerra: il primo luogo della cultura che fu preso di mira dai russi, il primo simbolo di un conflitto che ogni giorno continua a riportare a tutto il Mondo l’immagine della sua atrocità. Darina nella sua fuga ha visto quell’edificio a lei tanto caro in mille pezzi, così come i suoi studi e il suo futuro. “Siamo rimasti senza amici e senza le nostre città, con negli occhi l’orrore della terza Guerra Mondiale”.

Kharkiv è una delle città più grandi e più vicine alla Russia. È stata tra le prime città a essere bombardate con maggiore violenza già dai primi giorni dall’inizio dell’invasione il 24 febbraio. Darina viveva lì con sua mamma e 5 gatti. È riuscita a fuggire in Italia, riparando a Morbegno, cittadina in provincia di Sondrio. Lì viveva già sua sorella Tanya, ricercatrice di letteratura ucraina ed ebraica in Italia. È al sicuro da circa tre settimane e ha voluto raccontare quello che le è successo perché “penso che sia molto importante condividere quello che sta succedendo alle persone”.

“All’alba del 24 febbraio iniziammo a sentire dei rumori, sembravano fuochi d’artificio – racconta Darina – Siamo rimasti a Kharkiv per una settimana dopo l’inizio dei bombardamenti. Abitavamo nel centro storico e non credevamo che le bombe sarebbero arrivate anche lì. In verità all’inizio nessuno voleva andare via, nessuno credeva che tutto questo sarebbe potuto succedere. Al terzo giorno cominciammo a sentire il rumore delle armi vicinissimo. Da quel momento non c’è stato un giorno senza bombardamenti al centro e nelle zone residenziali della città. Dal primo giorno tutti gli Ucraini hanno sentito il cuore battere forte. Ho sentito l’orgoglio di un intero paese che non si aspettava l’attacco ma che non è disposto a cedere”.

A local resident looks at his house destroyed in a Russian air raid in Kharkiv, Ukraine, Thursday, March 3, 2022. Russia’s assault on Kharkiv, Ukraine’s second largest city, continued Wednesday, with a Russian strike hitting the regional police and intelligence headquarters, according to the Ukrainian state emergency service. (AP Photo/Andrew Marienko)

Darina è rimasta chiusa nel rifugio per giorni. Non c’era riscaldamento e il cibo iniziava a scarseggiare. “Ho avuto paura – continua il racconto – Quando ho messo la testa fuori dal rifugio dopo 4 giorni che ero chiusa lì, ho visto con i miei occhi la catastrofe umanitaria. Molti negozi erano chiusi e quelli aperti avevano lunghe file e rapidamente finivano il cibo. In strada non c’era nessuno, solo chi cercava un modo per scappare ed era in coda. Facce stravolte dalla paura e tutto intorno era distrutto”. Darina e sua mamma hanno capito che non era più possibile aspettare oltre e che bisognava fuggire da Kharkiv.

Così sono partite con un solo zaino addosso a testa in cui hanno dovuto chiudere le loro intere vite. Darina aveva 5 gatti. Ne ha potuti portare con se solo 2, gli unici che entravano nella sola gabbietta che poteva portare con se. “Se li avessi portati in braccio sarebbero morti schiacciati tra la folla nel nostro lungo viaggio – racconta, senza riuscire a trattenere le lacrime – Così li ho dovuti lasciare a casa. So che sono ancora vivi, un mio vicino di casa ogni tanto va a portargli da mangiare”.

Darina e sua mamma hanno cercato un modo per raggiungere la stazione, ci hanno messo tre ore. Quell’ultimo viaggio in giro per la sua città Darina se lo porta nel cuore, per lei le immagini che scorrono fuori da quel finestrino sono un pugno al cuore: “Guardai gli edifici distrutti dalle bombe, la mia Università in fiamme e i lavoratori comunali che cercavano di pulire le macerie e aiutare le persone disperate in strada. Cercavano di aggiustare quello che si poteva aggiustare e aiutare i rifugiati e chi si nascondeva. Ancora oggi non hanno smesso di farlo”.

Una volta arrivati alla stazione la scena era impressionante. Migliaia di persone erano lì accalcate cercando di salire sui treni e trovare la salvezza. “Abbiamo aspettato per otto ore prima di riuscire a salire su un treno perché erano tutti pieni. I biglietti non servivano, c’erano solo code speciali per le donne con bambini piccoli, organizzate da volontari. Siamo saliti su un treno per Leopoli e e abbiamo trascorso 18 ore sul treno, condividendo un posto tra due, senza luce e senza usare il bagno a causa dell’enorme numero di persone in vagone. Poi a Leopoli abbiamo preso un autobus verso il confine con la Polonia. Ci sono persone con macchine private che sono state in coda lì anche 3 giorni. Noi dovevamo aspettare 3 ore con sei gradi sotto zero. Eravamo preoccupati per i gatti nella gabbietta. Poi abbiamo camminato a piedi per tre chilometri fino al confine con la Polonia, lì c’era mia sorella ad aspettarci con la sua auto per portarci in Italia a casa sua”.

Tanya e Darina raccontano che quasi metà della popolazione di Kharkiv è rimasta lì nei rifugi. “Tanti non possono andarsene perché sono anziani o disabili, i loro familiari restano con loro per non lasciarli soli. Poi c’è chi resta perché dice di non voler fare l’elemosina negli altri paesi che stanno accogliendo. La nostra famiglia per metà è rimasta a Kharkiv. Altri non vanno via per aiutare, come nostra zia che è infermiera. Sin dai primi giorni hanno creato un ospedale nella cantina di una scuola. Curano tante persone che si feriscono con le schegge delle bombe o con i detriti che volano ovunque. Le onde emanate dalle bombe sono così forti che ti sbalzano via e fanno volare tutto intorno”.

A ribbon in colors of the Ukrainian flag and a writing reading “Kharkiv” is attached to a jacket as refugees wait in a line after fleeing the war from neighboring Ukraine at the border crossing in Medyka, southeastern Poland, Tuesday, April 5, 2022. (AP Photo/Sergei Grits)

Ora Darina sta cercando di ricomporre i pezzi della sua vita. Sta organizzando una rete di aiuti tra diverse città dell’Ucraina anche attraverso un gruppo di studenti che portano lì cibo e medicine. “Voglio tornare a casa mia – racconta – ma capisco che in questo momento non è possibile. Il futuro per me è lontano, ora non ho certezze. Non so nemmeno se è meglio aiutare il mio paese aspettando o tornando lì per fare qualcosa per ricostruirlo. Di una sola cosa sono certa: l’Ucraina vincerà, non c’è altra soluzione per difendere la libertà”.

Le due sorelle ancora non possono credere a tutto quello che sta succedendo. “Sono scioccata e furiosa –  dice Darina – C’è solo una persona che vuole commettere il genocidio degli ucraini e milioni di persone che lo sostengono, nonostante i recenti esempi di sterminio del popolo ebraico. A Kharkiv parliamo in russo, possiamo scegliere di parlare entrambe le lingue, ma noi siamo ucraini, abbiamo valori diversi dai russi, ci sentiamo più vicini all’Europa. Vogliamo la pace per il nostro paese”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.