L'analisi
I cattolici e la nuova classe dirigente: tasselli per costruire il bene comune

Durante la presentazione del mio ultimo libro a Roma, “la sinistra sociale”, Matteo Renzi si è soffermato nel suo articolato e stimolante intervento anche sulla classe dirigente politica proveniente dal mondo cattolico. O meglio, dal vasto e composito arcipelago cattolico italiano. Un tema, questo, di straordinario interesse e di grande attualità, soprattutto in una fase politica purtroppo ancora caratterizzata da una caduta verticale di qualità e di autorevolezza della classe dirigente.
E, nello specifico, se confrontata con quella di un passato recente e meno recente. Certo, è persin inutile ricordare la statura e la qualità dei principali leader, e statisti, della prima repubblica perché il confronto sarebbe addirittura impietoso. Anche, e soprattutto, per quanto riguarda la classe dirigente cattolica presente nella Democrazia Cristiana. Ma, per tornare alla riflessione del leader di Italia Viva, è indubbio che se dal retroterra cattolico non arrivano rinforzi, la qualità del personale politico è destinato ad essere modesto se non addirittura scadente. Ricordo, al riguardo, una vecchia battuta di Carlo Donat-Cattin sul finire degli anni ‘80 quando ormai la Dc si avviava lentamente verso il suo tramonto politico. Diceva il leader della sinistra sociale democristiana: “Se dalle retrovie non arrivano le munizioni è difficile combattere la battaglia per chi è in prima linea”. Una riflessione cruda ma sincera e particolarmente calzante, soprattutto per chi invoca oggi la necessità di riavere una classe dirigente, anche e soprattutto di matrice cattolica, da spendere direttamente nell’agone politico.
Il bene comune
E quando Renzi nel suo intervento al convegno sulla esperienza della ‘sinistra sociale’ della Dc ha evidenziato come oggi anche il mondo cattolico, e in particolare l’associazionismo cattolico, fatica a creare le condizioni per costruire una classe dirigente che accetti l’impegno politico sino in fondo, centra l’obiettivo ed evidenzia una criticità che non può essere scaraventata solo contro la politica nella sua complessità e contro il mondo dei partiti. E le cosiddette “munizioni”, per ricordare ancora le parole citate da Donat-Cattin, sono sostanzialmente cultura politica, idee, formazione ideale e vocazione concreta all’impegno pubblico in prima persona. Tasselli che rappresentano, ieri come oggi, gli elementi essenziali per lavorare con rettitudine e coerenza e per costruire il cosiddetto ‘bene comune’.
Un nuovo orizzonte
E se le stagioni storiche e le singole fasi politiche scorrono rapidamente, non si ripetono e non si possono riproporre meccanicamente, è altrettanto indubbio che la vocazione alla politica appartiene certamente al talento e alla volontà delle singole persone ma anche, e soprattutto, alla formazione che le giovani generazioni ricevono dai rispettivi mondi di riferimento. Detto con altre parole, non può riaffacciarsi al nostro orizzonte una nuova classe dirigente che sia in grado anche di dispiegare un progetto politico di qualità e coerente con il proprio retroterra culturale se le cosiddette ‘agenzie formative’ sono in crisi per svariate motivazioni. E non solo, come ovvio, per responsabilità riconducibili alle agenzie formative. Comunque sia, c’è una stretta correlazione tra avere una rinnovata e responsabile classe dirigente politica di matrice cattolica nella vita pubblica contemporanea e la formazione di quadri e di una nuova generazione di cattolici impegnati in politica.
Senza una precisa, consapevole e coerente formazione culturale, ideale e forse anche etica, difficilmente potremmo avere nell’immediato futuro una nuova e qualificata classe dirigente politica di matrice cattolica. E questo non solo per il bene dei cattolici ma, soprattutto, per la qualità della nostra democrazia, per la credibilità della nostra politica, per la serietà delle nostre istituzioni e, infine, per l’autorevolezza delle nostre classi dirigenti.
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