Il report
I dati Istat fotografano un’Italia a pezzi: dal 2005 poveri triplicati
La povertà aumenta. Lo certifica l’Istat. E, in coincidenza con i dati, le Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) e l’Università Cattolica con la professoressa Occhino, si occupano di reddito di cittadinanza. Su questo tema specifico, il Rapporto annuale Istat rileva che il reddito ha evitato a un milione di individui (circa 500mila famiglie) di trovarsi in condizione di povertà assoluta (ad esempio per una famiglia di 4 persone – padre, madre, due figli minori in contesto urbano, Centro Italia – la soglia fissa di una capacità di spesa per beni e servizi inferiore a 1600 euro al mese).
Secondo il Rapporto annuale, il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato dal 2005 al 2021, passando da 1,9 a 5,6 milioni (il 9,4% del totale), mentre le famiglie sono raddoppiate da 800 mila a 1,96 milioni (il 7,5%). Naturalmente le differenze sono più marcate andando da Nord a Sud. «Nel Nord – evidenzia l’Istat – la crescita della povertà assoluta è stata molto accentuata nel 2020: l’incidenza tra gli individui è aumentata di 2,5 punti percentuali rispetto al 2019, raggiungendo il 9,3% (quattro volte il valore del 2005); nel Mezzogiorno, invece, un aumento marcato si osserva tra il 2011 e il 2013, quando si è passati dal 6,1 al 10,6%, e un ulteriore incremento si è registrato nel 2017. Nel 2021, il Nord mostra segnali di miglioramento, mentre nel Mezzogiorno si raggiunge il punto più alto della serie (12,1%)».
Il dato sulle famiglie con stranieri, disponibile solo a partire dal 2014, segnala come queste ultime presentino livelli di povertà assoluta quasi cinque volte più elevati di quelli delle famiglie di soli italiani che dal 2016 oscillano intorno al 25%. L’Istat certifica anche che in un milione e 900 mila famiglie l’unico componente occupato è un lavoratore non-standard, cioè a tempo determinato, collaboratore o in part-time involontario. Questi occupati vulnerabili sono ormai quasi 5 milioni, il 21,7% del totale. E in 816mila sono “doppiamente vulnerabili”, perché risultano sia a tempo determinato o collaboratori, sia in part-time involontario. Le famiglie comunque aumentano: oltre 25 milioni nel 2020-2021 però sempre più piccole. Il numero medio di componenti scende a 2,3 e pesa l’aumento dei nuclei costituiti da una sola persona, passati dal 24% del 2000 al 33,2%. Diminuiscono le famiglie costituite da coppie con figli, che sono il 31,2% del totale nel 2020-2021 e se queste tendenze continuassero con la stessa intensità le coppie senza figli potrebbero sorpassare quelle con figli entro il 2045.
Sul fronte delle reazioni, il presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia, parlando alla “Summer School” di Roma, in coincidenza con il Rapporto, a proposito di reddito di cittadinanza ha sottolineato l’importanza di dare spazio alla voce dei Comuni. «Occorre dare ai Comuni maggiori strumenti e maggior peso nell’articolazione dei progetti e nell’ambito del Reddito di cittadinanza. I Comuni devono essere davvero la prima frontiera dello Stato nell’accoglienza, nella formulazione di politiche e nella risoluzione dei casi che si riscontrano sul territorio». Vanno però superati i Centri per l’impiego – ha spiegato – per fare tesoro delle esperienze “delle ‘Case del lavoro’ dove le singole realtà del Terzo settore potrebbero apportare un contributo unico nell’erogazione e nel coordinamento di questi servizi essenziali di formazione, orientamento e presa in carico delle persone, dando seguito anche alle indicazioni del Pnrr sul ruolo di co-protagonista insieme alla Pubblica amministrazione». Nello stesso contesto l’economista Antonella Occhino della Cattolica di Milano ha evidenziato come «una società non sta in piedi solo con gli inclusi. Bisogna occuparsi degli esclusi, innanzitutto. Venticinque anni dopo la devoluzione delle competenze sul lavoro alle Regioni, attraverso la creazione dei Centri dell’impiego, possiamo dire che il percorso d’inclusione non è stato concluso e non è pienamente funzionale».
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