Ci sono due Macron. Uno francese, l’altro europeo. Il primo non è convincente, l’altro sì. Quello francese ha ingaggiato una lotta senza quartiere contro chi vive di lavoro, salario e pensioni. Scatenando la giusta reazione sindacale, operaia, studentesca, generazionale, femminista che sta bloccando la Francia da mesi. L’altro, l’europeo, ha coraggio, visione e sente l’urgenza di cambiare l’ordine del discorso prima che l’Europa democratica perda ulteriormente peso schiacciata come è dal fronte di guerra, dagli interessi russi e da quelli americani. La fa forzando le attuali compatibilità europee, dettate da una agenda di guerra e di crisi energetica.

Questo secondo Macron sta tentando di uscire dalla morsa che rende l’Europa un soggetto fragile, del tutto subordinato alle logiche dell’Alleanza Atlantica. Di ritorno dal viaggio in Cina, il secondo dopo quello di un altro importante leader europeo come il premier socialista spagnolo Pedro Sanchez, ha posto con forza il tema dell’autonomia e della sovranità delle istituzioni comunitarie. Lo ha fatto in maniera netta, parlando della necessità di un terzo polo tra Usa e Cina, una terza via che investa sulla indipendenza politica strategica europea. In queste esternazioni ha richiamato un concetto a lui caro, quello dell’autonomia strategica europea, delineato in maniera organica in un discorso fatto alla Sorbona nel 2017.

In quel discorso il Presidente francese ha spiegato l’Europa che ha in mente, sul piano della prospettiva e su quello dei compiti e le responsabilità da gestire in termini continentali. Affronta il tema della ricostruzione di una Europa sovrana, unita, democratica. Approfondendo tutti gli snodi di questa nuova costruzione comunitaria che fa i conti con l’attuale modello di governance, lento, inefficace, spesso tecnocratico. Dalla difesa, “il nostro obiettivo deve essere la capacità di azione autonoma dell’Europa, a complemento della Nato”. “Propongo ai nostri partner di accogliere nei nostri eserciti nazionali militari di tutti i Paesi europei”.

Ai servizi di intelligence, alla gestione più generosa, con i Paesi maggiormente esposti, delle crisi migratorie, al rafforzamento della politica estera, alla transizione ecologica. “Questa transizione richiede anche un mercato europeo dell’energia veramente funzionante e quindi la volontà di incoraggiare finalmente le interconnessioni”. “Prezzo minimo, interconnessioni, contratto di transizione territoriale, tassa sul carbonio”. Fino alla istituzione di un programma industriale europeo a sostegno dei veicoli puliti e la necessaria sovranità alimentare.
Da ultimo al richiamo alla sovranità digitale contro lo strapotere americano e cinese, soprattutto delle piattaforme. Un discorso ambizioso per definire le priorità di una rinnovata agenda europea capace di incidere sul modello di sviluppo, la cessione di poteri degli stati nazionali alle istituzioni comunitarie e il ruolo che l’Europa deve avere nel nuovo assetto geopolitico.

Tutto questo avveniva prima della pandemia e prima della guerra. Con una chiusura assolutamente visionaria, Macron coglie anche il punto di eventuale crisi, “ma stiamo già vedendo gli inizi di qualcosa che potrebbe distruggere la pace che ci culla”. La guerra, come punto di non ritorno, diventa terreno di scontro tra interessi differenziati: quelli russi che comprano tempo confidando sui numeri imponenti di cui dispongono in termini demografici e militari; quelli americani che hanno rilanciato la Nato come dominus politico oltre che militare; quelli dei nazionalisti che preferiscono veder deperire la democrazia europea.

L’iniziativa di Macron si colloca dopo il tentativo di piano di pace cinese, non preso in considerazione da americani e britannici e che invece conteneva spunti per un vero negoziato partendo dal “rispettare la sovranità di tutti i paesi” e “abbandonare la mentalità da guerra fredda”. Macron cerca di aprire a forza una nuova via politica e diplomatica per l’Unione Europea. L’Europa non può essere una succursale della Nato, anzi deve trovare il modo più autorevole di stare dentro una alleanza militare difensiva. Deve tornare a svolgere un ruolo autorevole, autonomo, proprio.

Un tentativo estremo, nel momento di maggiore difficoltà per la democrazia europea. Anche solo per questo motivo lo sforzo del Presidente francese andrebbe preso sul serio e incoraggiato. Tra mille silenzi e pochissimi applausi. In fondo il fallimento europeo farebbe la felicità di tanti attori, compresi i nazionalisti di casa nostra che, in barba alla storia della destra italiana, si ritrovano ad essere molto più atlantici che europei. Ciò detto continuano ad esserci due Macron.

E quello francese, incapace di dialogare con la parte più progressista del suo Paese, rischia di boicottare e indebolire quello europeo. Se vuole giocarsi la partita della leadership europea, deve cambiare politiche a casa propria e deve farlo in fretta. Prima delle elezioni europee. Ed essendoci due Macron vediamo quale dei due sopravvivrà alle pressioni Usa, alla guerra russa e anche a sé stesso.