Luglio, tempo di addii. Mentre Caronte fa strage di ogni record di calore, costringendo i napoletani a convivere con il sole dell’Africa e l’umidità dell’Asia, il Napoli fa i conti di quanto risparmierà sugli ingaggi del prossimo anno. Dopo il 30 giugno, gli addii ufficiali di Ghoulam, Malcuit, Tuanzebe, Ospina e Mertens, oltre a quello di Manolas a gennaio, fanno oltre 21 milioni di taglio netto. “Mission accomplished” per Aurelio De Laurentiis, che però non intende fermarsi qui. Come annunciato un anno fa, il ridimensionamento dei costi è la stella polare del Napoli nel nuovo calcio post-covid.

De Laurentiis è in buona compagnia, perché il circo malconcio della Serie A ha perso oltre 3 miliardi di euro negli ultimi tre anni, ma mentre le altre squadre di vertice non rinunciano a qualche colpo di mercato, anche con discutibili artifici finanziari, il Napoli va dritto sui giovani dal basso ingaggio e di belle speranza, più qualche prestito di lusso, magari a fine mercato. E non disdegna altre cessioni, in caso di offerta giusta. Nessuno è più considerato indispensabile, e qualcuno come gli esterni d’attacco è più cedibile degli altri. Ma anche due colonne come Fabian Ruiz e Koulibaly potrebbero partire o essere messi ai margini, se non accetteranno i rinnovi al ribasso proposti. Nel frattempo, Spalletti fa gli scongiuri, mentre i tifosi osservano con preoccupazione una società che ricade sempre negli stessi errori: campagna abbonamenti fantasma, amichevoli estive a prezzi folli (contro l’Anaune ci vorranno 20 euro, perché la moneta degli altri non è mai vile), l’ennesimo contenzioso con il comune per i nuovi canoni concessori mai pagati. C’è chi si accontenta, pensando ancora al fallimento del 2004 o agli anni difficili del post Maradona.

Non si capisce però perché il punto di riferimento per giudicare le ambizioni del Napoli dovrebbe essere l’abisso di Tangentopoli, quando la crisi del settore edilizio condannò tanti proprietari di club degli anni ’80 e non solo Ferlaino, e non invece i trent’anni precedenti nei quali il Napoli era sempre rimasto ai vertici della Serie A, vincendo due scudetti e sforandone altrettanti. Con le regole e i diritti TV attuali, quel Napoli sarebbe stato un anno sì e l’altro pure in Champions, anche senza D10S. inoltre, il Napoli attuale è quarto per diritti televisivi, quarto per numero di tifosi, quarto per presenze allo stadio nonostante la politica ostile della società verso i tifosi. Davvero non si comprende perché da De Laurentiis non si possa pretendere almeno di lottare per lo scudetto, visto che la battaglia per i posti Champions è il minimo sindacale per la dimensione del Napoli nel panorama italiano. C’entra forse quella subcultura vittimistica e subalterna che a Napoli fa il paio con la demagogia illusoria della “città più bella del mondo”. Che fatica essere cittadini e non sudditi, anche nel mondo del pallone.