C’è indubbiamente qualcosa di poco chiaro nella vicenda che vede suo malgrado protagonista l’attuale procuratrice di Nola Laura Triassi. Proviamo a riassumerla. Tra le fine del 2017 e il 2018 il magistrato, che nella prima metà degli anni Novanta era stata protagonista della Tangentopoli napoletana, era in corsa per tre incarichi direttivi e semidirettivi, ma le valutazioni compiute dal Consiglio superiore della magistratura dell’epoca l’avevano vista sconfitta su tutti i fronti. Triassi, che non appartiene ad alcuna delle correnti dell’Anm che da anni si spartiscono gli incarichi negli uffici giudiziari, decise quindi di impugnare i provvedimenti del Csm e presentò ricorso prima al Tar del Lazio e poi al Consiglio di Stato che successivamente le diedero ragione e, pertanto, annullarono le decisioni dell’organo di autogoverno della magistratura.

A questo punto, la questione avrebbe potuto dirsi tranquillamente risolta essendo intervenute ben tre sentenze del massimo organo della giustizia amministrativa, tutte favorevoli al magistrato. Sennonché nella primavera del 2019 – cioè in un momento storico, è bene sottolinearlo, in cui il nuovo Csm si era insediato da circa sei mesi – Luca Palamara e un altro paio di ex consiglieri del Csm non più in carica commentarono in maniera negativa le decisioni del Consiglio di Stato arrivando a ipotizzare – non si capisce bene a qual titolo – addirittura un intervento del Capo dello Stato, evidentemente nella sua qualità di presidente dell’organo di autogoverno della magistratura. Nel luglio 2020, a ogni buon conto, il nuovo Csm, giustamente adeguandosi alla decisione dei magistrati amministrativi, nominava Triassi procuratrice di Nola. Fin qui è storia.

Ci asteniamo da qualunque commento in ordine alla procedura per incompatibilità ambientale recentemente avviata nei confronti della procuratrice, trattandosi di una vicenda ancora sub iudice. Ebbene, pur non potendosi allo stato ipotizzare alcun collegamento tra le due diverse vicende, quello che colpisce è il fatto che sulla prima, ossia quella che si concluse con la nomina del nuovo vertice della Procura di Nola, non sembra che a tutt’oggi si sia fatta piena luce. Restano in particolare un mistero le ragioni per cui sembra che alcuni esponenti del vecchio Consiglio – tra cui lo stesso Palamara – si fossero così decisamente accaniti sulla questione delle nomine annullate dal Consiglio di Stato in favore di Triassi. Ed è intorno a tale aspetto che lo stesso Palamara potrebbe forse fornire dei preziosi chiarimenti, laddove gli venissero richiesti. D’altra parte, che alla base di tal genere di nomine vi fossero spesso degli accordi “sottobanco” tra le correnti è un fatto arcinoto, pacificamente ammesso dallo stesso Palamara nel suo beste-seller Il Sistema. Ecco, a nostro avviso è proprio questa mancanza di trasparenza la causa del maggior danno arrecato alla magistratura dal sistema delle correnti, non certo dal solo Palamara che quel sistema si è semplicemente limitato a portare alla luce.

Così come resta un mistero il motivo per cui, anche a seguito dei recenti scandali che hanno colpito la magistratura, né il legislatore né il “partito dei referendum” si siano finora posti il problema dell’abolizione dell’immunità prevista (con legge ordinaria e non costituzionale) dall’articolo 32 bis della legge 195 del 24 marzo 1958 a favore dei componenti del Consiglio superiore della magistratura, che pertanto ancora oggi non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni concernenti l’oggetto della discussione. A proposito di tale norma, la giurisprudenza ha peraltro chiarito che l’immunità riguarda ogni tipo di responsabilità, sia essa civile, penale o disciplinare. Sicché i singoli componenti del Csm, per i quali non opera neppure il congegno della cosiddetta “responsabilità politica”, non posso essere chiamati a rispondere neanche a titolo di risarcimento dei danni arrecati con le loro decisioni. Non solo.

Le più recenti vicende hanno purtroppo dimostrato che quella immunità, oltre a offendere il comune senso di decenza, è anche criminogena perché disincentiva le denunce da parte dei magistrati ingiustamente danneggiati e impedisce l’emersione del malaffare. Sinceramente, se mi fossi trovato nei panni dei promotori dei referendum, prima di pormi il problema della responsabilità civile diretta dei comuni magistrati – che in silenzio e con sacrificio amministrano ogni giorno la giustizia, spesso in condizioni disagiate e senza mezzi adeguati – mi sarei piuttosto chiesto per quale motivo i rappresentanti delle correnti in seno al Csm dovrebbero continuare a godere di un simile antistorico privilegio del quale pare che non abbiano fatto finora nemmeno un buon uso. Ci auguriamo che il legislatore se ne ricordi quando verrà il momento di riformare il Csm, pur senza sperarci troppo.