La battaglia è andata avanti fino a tarda serata. In prima linea gli avvocati di Catello Maresca, il pm che punta alla guida del Comune di Napoli col sostegno del centrodestra e che si è visto bocciare quattro liste della sua coalizione prima dalla commissione elettorale e poi dal Tar della Campania. Nel momento in cui il nostro giornale va in stampa, il Consiglio di Stato non si è ancora pronunciato sull’appello proposto dai legali di Maresca contro il verdetto dei giudici campani. Il che mantiene il pm e i suoi fedelissimi col fiato sospeso.

Facile intuire il motivo: l’eventuale conferma dell’esclusione delle civiche Catello Maresca e Catello Maresca Sindaco, della lista di ispirazione leghista Prima Napoli e di quella degli animalisti, assesterebbe un colpo letale a un centrodestra che gli ultimi sondaggi descrivono come molto distante dal centrosinistra guidato da Gaetano Manfredi. Per le civiche, il vizio riscontrato dalla commissione elettorale e confermato dal Tar consiste nel ritardo nella presentazione della documentazione: un problema sanabile se gli avvocati riuscissero a dimostrare come i presentatori delle liste fossero all’interno degli uffici prima della scadenza dei termini. Per la Lega il vizio consiste non solo nel ritardo nella presentazione della documentazione, ma anche nella mancanza del contrassegno elettorale: problema difficilmente sanabile, secondo qualche  esperto.

L’apprensione è comprensibile, dunque. Anche perché la definitiva bocciatura delle quattro liste di Maresca scatenerebbe, tra i candidati al Consiglio comunale e i militanti, quel senso di sfiducia che in una competizione elettorale ha puntualmente esiti disastrosi. Il magistrato ne è ben consapevole ed è per questo che pochi giorni fa, dal palco del Teatro Troisi di Fuorigrotta, si è scagliato contro “Demanfredis”, ovvero la coalizione di centrosinistra nella quale hanno trovato posto diversi reduci della disastrosa esperienza di Luigi de Magistris, bollandolo addirittura come «una minaccia per Napoli». Sempre dallo stesso palco, Maresca ha denunciato l’apertura del «mercato delle vacche» chiarendo come i suoi candidati non siano «in vendita».

Parole durissime per provare a tenere insieme una coalizione doppiamente divisa: la candidatura alla presidenza delle dieci Municipalità ha fatto emergere una spaccatura forse insanabile non solo tra movimenti civici e partiti di centrodestra, ma anche all’interno di questi ultimi. In più, Maresca comincia a sentire il fiato sul collo di Antonio Bassolino al quale, nelle ultime settimane, si sono avvicinati molti militanti ma anche esponenti di primo piano del centrodestra come il liberale Giuliano Urbani, l’ex consigliere regionale Franco Bianco e l’ex parlamentare Amedeo Laboccetta. In questa condizione, la definitiva bocciatura delle quattro liste di Maresca equivarrebbe a una sorta di “rompete le righe” e potrebbe scatenare un fuggi fuggi generale dal centrodestra.

Di questo Maresca è consapevole al pari della Lega. Il partito di Salvini rischia di vedere fortemente ridimensionate le proprie ambizioni a Napoli, in Campania e in tutto il Mezzogiorno. Poco meno di due anni fa – era il 21 novembre 2019 – il leader leghista era a Sorrento per annunciare l’adesione dell’allora sindaco Giuseppe Cuomo e dell’ex primo cittadino di Positano Michele De Lucia al suo partito. In quell’occasione, galvanizzato dall’avvicinamento di tanti amministratori locali alla Lega, il leader del Carroccio non riuscì a nascondere le proprie ambizioni: «Per Napoli sogno un sindaco leghista, magari un giovane».

A quasi due anni da quel roboante annuncio, Salvini è riuscito a far eleggere tre consiglieri regionali in Campania ma, in compenso, a Napoli è stato costretto a rinunciare al simbolo della Lega e va verso una clamorosa esclusione della sua lista dalla competizione elettorale. A prescindere dall’esito dell’appello al Consiglio di Stato, per i salviniani la frittata è fatta: il caos sulle liste è indice di un dilettantismo che non ci si aspetta da chi ambisce ad amministrare la terza città d’Italia, ma anche di una debolezza politica che, a Napoli, costringe paradossalmente uno dei primi partiti a livello nazionale a rinunciare al simbolo e gli impedisce di imporsi nel  delicato risiko delle Municipalità.