Oltre il danno la beffa. È ciò che emerge dalla lettura delle motivazioni della sentenza, depositata ieri, con cui la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha condannato con la sanzione della censura la pm siciliana Alessia Sinatra. La magistrata era finita sul banco degli imputati per aver scambiato, alla vigilia della nomina del nuovo procuratore di Roma a maggio del 2019, alcuni messaggi con l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara. Dopo essere stata molestata sessualmente dall’allora procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, Sinatra aveva covato rancore per anni nei confronti di quest’ultimo, decidendo però di non denunciarlo: per la sua “privatissima rivincita esclusivamente morale”, la toga confidava nell’aiuto di Palamara per stoppare la corsa di Creazzo a procuratore della Capitale.

La scelta, perfettamente legittima di non denunciare Creazzo, si è però rivelata un boomerang per la magistrata. Scrive infatti il Csm che Sinatra «non avendo ritenuto di denunciare le condotte abusanti del dott. Creazzo mediante formale querela, ben avrebbe potuto comunque far valere le sue ragioni nell’opportuna sede civile», ricordando poi che «il magistrato, come qualunque altro cittadino, è tenuto ad esperire le tutele – e solo esse – consentite dall’ordinamento». Ma a parte questo, il Csm si spinge anche ad affermare cosa può dire e cosa non può dire un magistrato. La chat in questione, infatti, «non è una mera privata conversazione – comunque impropria in considerazione dei rispettivi ruoli istituzionali – su quanto potesse essere condivisibile che il dott. Creazzo andasse a ricoprire l’ufficio cui aspirava ma è sintomatico dell’intesa tra i due soggetti che a qualunque costo avrebbero dovuto condizionare negativamente attraverso impropri canali di stretta appartenenza correntizia».

L’intesa, però, è smentita dalle stesse chat di Palamara. Gianluigi Morlini, ex togato di Unicost, la corrente a cui apparteneva la pm siciliana e di cui Palamara era “leader di spicco”, votò per Creazzo a procuratore di Roma. Di fatto una ‘controraccomandazione’ fallimentare. Relatrice della sentenza è stata l’avvocata siciliana Rossana Natoli, eletta in quota Fratelli d’Italia.
«Presenteremo ricorso in Cassazione», ha già fatto sapere il professor Mario Serio, difensore della magistrata, evidenziando come il Csm non abbia speso nella sentenza una parola su quanto avvenne prima delle chat incriminate. «La sentenza omette completamente quello che è accaduto e non considera le sofferenze che ha patito la mia assistita», aggiunge Serio.

Il sospetto, allora, è che ‘durezza’ del Csm sia stata determinata dall’interlocutore, Palamara, ormai visto come il male assoluto dalle parti di pizza Indipendenza e dintorni. Su questa vicenda nelle scorse settimane era intervenuto anche il togato progressista Marcello Basilico il quale in una intervista al Dubbio si era spinto ad affermare, come se fosse una condotta meno grave, che «non si era trattato di una molestia consumata all’interno del rapporto di lavoro, cioè tra un procuratore e la sua sostituta».