Il Csm ha stabilito che se un uomo compie una violenza sessuale contro una donna e la donna poi dice che quell’uomo è un porco, la donna va condannata. Non era mai successo. Almeno negli ultimi 500 anni. Ecco i fatti: qualche mese fa il Csm aveva accertato che una Pm era stata molestata sessualmente da un Procuratore della Repubblica.

La notizia del reato era emersa da un messaggio privato inviato dalla Pm vittima della violenza al suo collega Luca Palamara (il messaggio era stato poi pubblicato nel libro di Palamara). Il Csm aveva esaminato il caso e dichiarato che le molestie c’erano state: ma aveva giudicato il comportamento del Pm una piccola marachella e lo aveva condannato semplicemente alla perdita di due mesi di anzianità (qualche decina di euro sulla futura pensione). Niente sospensione, niente radiazione. Si stabilì che un magistrato colpevole di violenza sessuale poteva comunque continuare a fare il procuratore.

Poi il Csm ha deciso di processare anche la vittima. Perché? Perché nel messaggio a Palamara la Pm aveva definito il Procuratore “un porco”. Parola sconveniente. E anche “schifoso”. Molto sconveniente. Ieri, sempre il Csm – il nuovo Csm, che tutti speravamo cambiasse strada rispetto al precedente – ha solennemente affermato in una sentenza che chi dà del porco a un magistrato solo per essere stata da lui molestata sessualmente commette una grave scorrettezza. La Pm che ha subito la violenza è stata condannata al provvedimento della censura.

Il Procuratore in questione si chiama Giuseppe Creazzo e all’epoca dei fatti era il capo della Procura di Firenze. La Pm si chiama Alessia Sinatra, ieri era su tutte le furie. Il Csm ha stabilito in modo formale che chi compie atti di violenza sessuale su una donna commette una piccola infrazione e che la vittima della violenza sessuale deve essere censurata e punita se protesta in modo eccessivo. Non credo che il presidente della Repubblica, in qualità di presidente del Csm, possa intervenire in qualche modo per correggere questa follia piuttosto infame. Però forse potrebbe compiere un atto formale di dissociazione. Sarebbe utile, credo. Utile, almeno, per lasciarci un lumicino piccolo, piccolo, piccolo di speranza.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.