Egitto e Iran sono pronti al disgelo. I segnali ci sono, come l’ultimo tweet dell’ayatollah Ali Khamenei che ha scritto di avere accolto positivamente l’offerta dell’Egitto per la ripresa delle relazioni. E se è difficile prevedere tempi e modalità di questo riavvicinamento, così come è vero che non mancano ostacoli che hanno già fatto naufragare ogni tentativo di disgelo, le parole del leader iraniano lasciano intendere che i lavori della diplomazia procedono. Secondo molti osservatori, questo percorso sarebbe facilitato dal lavoro di due attori regionali, Iraq e Oman, che si sono ritagliati un ruolo di pontieri.

Ma l’impressione è che questa possibile normalizzazione tra il Cairo e Teheran sia il frutto anche dell’intervento di due potenze esterne ma centrali del panorama regionale, Cina e Russia, entrambe legate agli attori coinvolti nel riavvicinamento ed entrambe interessate, specie Pechino, a una normalizzazione tra i due Paesi. Gli indizi dell’azione della Cina in questo delicato contesto sono due: da una parte c’è l’interesse economico cinese radicato sia in territorio iraniano che egiziano. Il fatto che nel primo passino i corridoi terrestri verso Occidente e che attraverso Suez passi la “Via della seta marittima” certificano il desiderio di Pechino di avere stabilità nei suoi “hub” della regione.

La seconda prova è invece un precedente vicino nel tempo che aiuta a comprendere questa nuova rotta della diplomazia cinese: l’accordo tra Iran e Arabia Saudita. L’intervento di Xi Jinping a sostegno di questa normalizzazione è stato probabilmente risolutivo e ha confermato il peso assunto dal governo cinese in una regione centrale per gli equilibri mondiali. Una regione che vive una stagione particolare, in cui la parola d’ordine sembra essere “riequilibrio”. Perché in attesa di capire se tutto questo sia a lungo termine o effimero, al momento, ciò che appare certo è che i fili della diplomazia si muovono alla ricerca di una risistemazione dello scacchiere regionale, con vecchi rancori che cercano di essere ridefiniti o addirittura risolti, e in cui ad aprire le danze è stato proprio l’accordo “made in China” tra Arabia Saudita e Iran.

Una sorta di spartiacque della politica mediorientale. Dopo l’intesa tra questi due Stati, la Lega Araba ha riaccolto la Siria di Bashar al Assad, esclusa dopo l’inizio della guerra che ha insanguinato il Paese. Allo stesso tempo, dalla Turchia sono arrivati toni più concilianti nei confronti di Damasco, con il presidente Recep Tayyip Erdogan che, anche a causa di questioni meramente interne, ha avviato un percorso di normalizzazione con il vicino meridionale. Contemporaneamente, anche gli Emirati Arabi Uniti hanno avviato un percorso di riconciliazione con Damasco. E anche l’Iraq e il Libano provano a sfruttare questi riassestamenti tra le potenze per cercare di trovare una quadra alle complicate sfide politiche e di sicurezza che vivono al loro interno.

Tutto questo ha ovviamente dei punti interrogativi di non poco conto. Il primo è quanto l’Iran sia in grado di confermare questo nuovo approccio internazionale dopo anni di isolamento e sanzioni. Il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, in audizione alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato ha parlato non a caso di un Iran che “cercherà di riproporsi come un Paese non canaglia” per evitare l’accerchiamento. Ma in questi giorni, il “Washington Post” ha lanciato le indiscrezioni su un possibile piano di Teheran per attivare miliziani contro le truppe statunitensi in Siria. Segno che da Oltreoceano non si fidano delle mosse della Repubblica islamica.

Resta poi il tema dell’aperta contrarietà di Israele verso le concessioni nei confronti dell’Iran, viste come crepe nel blocco edificato per fermare il suo programma nucleare. Il premier Benjamin Netanyahu, parlando dell’indagine dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica sul sito iraniano di Marivan ha detto che “Israele farà quello che occorre per impedire a Teheran di ottenere l’arma nucleare”. Rimane infine il punto interrogativo sulla convivenza tra l’azione cinese e la volontà di Washington di non essere esautorata da un ruolo di leadership nel contesto mediorientale. Questo nuovo riequilibrio sembra infatti avere come perno l’inserimento di Pechino nella regione in coordinamento con Mosca. E in una fase di ostilità tra superpotenze, anche il Medio Oriente potrebbe tornare al centro della partita come ulteriore dossier di questo scontro.