Non ha la tragica grandezza di Bettino Craxi in esilio ad Hammamet, ma il Luigi Di Maio triste, solitario y final di questi giorni, tra uno sfocato vertice europeo su Iran\Libia e l’ennesima fuoriuscita dal M5s, ha una sua dignitosa malinconia.
Se in ogni dramma che si rispetti c’è almeno un doloroso tradimento, nell’ottica del ministro degli Esteri ce ne sono diversi. A cominciare da quel Giuseppe Conte che da papabile ministro di un governo Di Maio prima diventa premier al posto suo e poi pure leader di un Movimento “spostato a sinistra”, affermandosi di fatto come il principale rivale interno. Fino al Fatto Quotidiano, giornale in questi anni vicino al politico di Pomigliano D’Arco, che però ieri ha sbattuto uno sfuggente e dark Di Maio in bianco e nero in prima pagina dandogli del dimissionato, del capo in fuga, un po’ per scelta sua, un po’ per scelta degli altri.
È l’ultimo sipario strappato, la fine della leadership di Di Maio nel Movimento è solo questione di tempo. Secondo alcune fonti sarà lo stesso ministro degli Esteri a staccare la spina a quello che ultimamente, tra costanti parabole nei sondaggi, scontri interni, espulsioni e fughe, più che una leadership è un calvario. Per aprire a una nuova stagione senza capo politico ma con una segreteria allargata.
A spingere Luigi Di Maio verso le dimissioni immediate sarebbe la volontà di non interpretare l’unico imputato alle imminenti elezioni regionali di Emilia Romagna e Calabria, doppia sfida in cui il Movimento è dato saldamente sotto la doppia cifra e fuori dai giochi, con la grande maggioranza dei vecchi elettori attirati chi dalla Lega, chi dal Pd. Sarebbero contenti del passo indietro i parlamentari che all’ultima assemblea congiunta gli hanno chiesto di rinunciare al doppio ruolo di ministro-capo politico al motto di “non sei Superman”. Forse sarebbe contento pure Alessandro Di Battista, l’ex gemello diverso che si è schierato con Gianluigi Paragone prima di partire per l’Iran, per poi forse tornare da rivale o con in testa un nuovo partito.
Certamente non sarebbe dispiaciuto Giuseppe Conte che è stanco di una coabitazione ormai forzata e di Di Maio è diventato la nemesi. La poca sinergia, anche solo comunicativa, tra Palazzo Chigi e Farnesina sui casi Iran e Libia è evidente. Una fonte ci dice: «Luigi non ha mai creduto al governo con il Pd e spesso ha fatto praticamente opposizione all’esecutivo, se vogliamo credere in questa esperienza dobbiamo cambiare leader. E sì, Conte è già un riferimento». Certamente il premier è un riferimento per “Eco”, gruppo animato dal fuoriuscito eccellente ed ex ministro Fioramonti e al quale potrebbero aderire diversi tra i numerosi ultimi parlamentari che hanno mollato il Movimento, ormai 27 in questa legislatura.
© Riproduzione riservata