“La mafia è una montagna di me**a”. Questa frase di Peppino Impastato gli sarà risuonata in testa e nel cuore migliaia di volte da ragazzo, e ancora più oggi, a poche ore dall’arresto di quello zio dal nome ingombrante la cui parentela, anche se lontana, gli ha reso la vita un’inferno. Giuseppe Cimarosa, 40 anni, è il figlio della cugina di Matteo Messina Denaro, il boss catturato dopo 30 anni di latitanza. Ma sin da piccolo Giuseppe aveva un altro idolo ed era Peppino Impastato e la sua lotta contro la mafia. E così per tutta la vita ha iniziato anche lui a lottare e gridare contro quel sistema malato e diffuso nella sua Sicilia.
“Pensavo che questo giorno non sarebbe mai arrivato, oggi mi sento un po’ meno in pericolo. Grazie allo Stato”, ha detto a L’Espresso a poche ore dalla notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro. E subito si è rimboccato le maniche per gridare ancora più forte contro la mafia. Lui, che ha scelto di continuare a vivere nella sua Castelvetrano facendo l’istruttore di equitazione e il regista di teatro equestre, non ci sta a starsene zitto. “A due giorni dal lieto evento e dopo la lunga riflessione, ho pensato che domani sia molto importante, per il valore simbolico che custodisce, organizzare una manifestazione silenziosa e pacifica nel quartiere dove Matteo Messina Denaro è nato e dove vive ancora il resto della sua famiglia – ha scritto in un post su Facebook – E facciamolo portando un foglio bianco con noi che simboleggi la rinascita della nostra Castelvetrano, perché si riscriva una nuova storia, una nuova era, un nuovo domani senza ombre e con coraggio. Vi chiedo di non perdere questa occasione perché tutti noi siamo chiamati, chi nel piccolo e chi nel grande, a fare il nostro dovere. E ribellarsi alla Mafia e gioire di questo arresto è un nostro dovere di siciliani onesti. Fino ad oggi la nostra storia è stata segnata e scritta dagli errori degli altri… da oggi ce la scriviamo da soli! Chi è con me? Forza, Castelvetrano, risorgiamo!”.
Giuseppe Cimarosa ha raccontato a Repubblica la sua infanzia trascorsa a Castelvetrano dove Matteo Messina Denaro era considerato come un mito dai suoi compagni di classe. “Per me non c’era nulla di cui vantarsi – racconta Cimarosa – Avevo conosciuto la storia di Peppino Impastato ed era lui il mio punto di riferimento ideale. Così è iniziato il conflitto profondo con mio padre. Lo hanno arrestato per la prima volta quando avevo da poco compiuto 15 anni”. E racconta cosa accadde a suo padre: “Ha scontato 5 anni ingiustamente, perché era stato assolto dall’associazione mafiosa e condannato per danneggiamento contro un ex socio. Non aveva commesso lui quel reato, però non disse nulla. Così, una volta tornato libero, fu ritenuto affidabile e venne nuovamente assoldato”. Poi il padre nel 2013 iniziò a collaborare con la giustizia.
Lui rifiutò il programma di protezione per un motivo ben preciso: “Io mi chiamo Giuseppe Cimarosa. Ho una mia identità di persona onesta che ho costruito negli anni e con fatica. Non ci rinuncio per colpa di Matteo. Non sono un eroe, ho fatto una scelta, ho preferito la libertà e rimanere a casa mia. Però ho pagato un prezzo. Sono dieci anni che viviamo con l’ansia di essere ammazzati a colpi di pistola o con una bomba”. Una vita da inferno solo per essere lontanamente imparentato con il boss inafferrabile. “Dopo la morte di mio padre, la sua tomba è stata distrutta due volte e già questo è un segnale. Ma forse alla famiglia di Matteo Messina Denaro non conveniva farmi del male, mi avrebbe trasformato in un martire. Tanto ci pensavano gli altri, a farmi vivere l’inferno sulla terra”.
Giuseppe racconta che da sempre ha vissuto a Castelvetrano da emarginato con gli amici che da un giorno all’altro non gli hanno più risposto al telefono e i ragazzi spariti anche dal suo maneggio. “Pian piano, si è costruita una nuova comunità. Però ho pagato due volte: tutto quello che ho, compresa la casa e il lavoro, è stato confiscato dallo Stato dopo la collaborazione di mio padre. È una beffa”. Ora, dopo l’arresto del superboss si accende una nuova speranza. “È un’opportunità unica per riscattare questo territorio. Forse l’ultima. Dobbiamo scrivere un nuovo futuro”.
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