Una sferzata salutare. Una lezione di alta politica. A impartirla è il professore, per spessore e non solo per titolo, Mario Tronti. Il padre dell’operaismo ha insegnato per trent’anni all’Università di Siena Filosofia morale e poi Filosofia politica. È stato eletto in Senato nel 1992 nelle fila del Partito democratico della sinistra e nel 2013 nelle fila del Partito democratico. È stato presidente della Fondazione CRS (Centro per la Riforma dello Stato) – Archivio Pietro Ingrao.

Ora che la “battaglia del Quirinale” si è conclusa. Ora che attori e comparse hanno detto la loro, facendo a gare nell’attribuirsi il merito del Mattarella bis, è tempo di una riflessione seria. A lei la parola e il commento, professor Tronti.
Proprio di riflessione seria c’è bisogno. Possibilmente fuori dal coro. L’unica nota positiva della partitura è il finale. Dopo una serie di scosse telluriche, una più pericolosa dell’altra, è rimasta salda la coppia perfetta per questa fase: Mattarella- Draghi, la professionalità politica e la professionalità tecnica. Questa volta non è il meno peggio, possiamo dire che è il meglio. Ma partiamo dall’ultimo evento: il discorso del Presidente a Camere riunite. La vera differenza rispetto al discorso di Napolitano del 2013 è che Mattarella non ha, questa volta, bacchettato sulle dita le forze politiche. E ha fatto più che bene. Io non mi associo al lamento sul fallimento della politica, sulla sconfitta dei partiti, ecc., dilagata in questi giorni sui giornali e nei talk show. E sono soddisfatto che se ne sia dissociato lo stesso Presidente. C’è ne è già abbastanza di virus antipolitico e antipartitico, più contagioso di Omicron, nell’opinione di massa. Bisogna contrastarlo nei fatti, non alimentarlo con la chiacchiera. Sono subito schizzati in avanti i sondaggi a verificare una condanna indiscriminata di tutti i leader, senza distinzione, mentre una precisa distinzione va fatta. A uscirne con le ossa rotte, e in genere chi risponde a quei sondaggi per pregiudizio non se ne accorge, sono stati solo due: Salvini e Conte, per dimostrata pochezza di personalità. Gli altri, da Letta a Renzi, da Di Maio alla fine allo stesso Berlusconi, hanno fatto politica, eccome! Tanto che eminentemente politica è stata la conclusione, con la conferma del duo Mattarella-Draghi, di cui si sapeva fin dal principio che erano i due soli candidati credibili. Il tutto nel giro di soli cinque-sei giorni, che non mi sembra un tempo biblico. Lo spettacolo indecoroso delle giravolte sui nomi più improbabili è esclusiva colpa dei due succitati compari, che rivedremo spesso insieme, accomunati da un solo obiettivo, impedire di vedersi davanti per i prossimi sette anni Draghi al Quirinale. Posso sbagliare, ma la vedo così. Adesso però riflettiamo su quanto ci aspetta.

Quella che con tribolazioni varie si è alla fine fatta, è una scelta, si è detto, scritto, rivendicato, di stabilità. Ma è davvero così. Il governo, ad esempio. Mario Draghi può dormire sonni tranquilli?
Il governo avrà vita difficile. In questo concordo con le analisi di molti commentatori. L’anno elettorale, con le amministrative prima e le politiche dopo, condizionerà il viaggio della nave. Per tenere a bada almeno una parte dei rematori il tecnico Draghi dovrà far ricorso alle sue fini doti di politico, di cui è in possesso meglio di tanti altri. Una cosa è certa: il passaggio conflittuale quirinalizio ha rimesso in moto il quadro politico. A conferma del fatto che comunque il conflitto, anche se non di eccelso livello, porta a cambiare le cose. Tutto sta adesso a gestire il cambiamento con intelligenza, e accortezza. Si disse che la forma di un governo dove i partiti sono solo marginali partner di una premiership centrata, avrebbe concesso il tempo e l’occasione per un radicale ripensamento della loro presenza e della loro funzione. Adesso è il momento della verifica. Ecco perché invece che continuare a sparare contro i vari quartier generali, è responsabilità di tutti, osservatori, commentatori, associazioni, cittadini, quella che s’invoca sempre come buona società civile, di concedere alle forze politiche quest’ultima possibilità. Conosco la copiosa letteratura che, con soddisfazione, ha decretato da tempo la fine irreversibile della Repubblica dei partiti. Ma mi si deve spiegare che cosa c’è stato di meglio dopo, nella repubblica di tutti e di nessuno, se non questi devastanti movimenti demagogico-populisti e questi personaggi fasullamente carismatici, che hanno portato la grande maggioranza delle persone addirittura a odiare la politica. E non mi si dica che l’alternanza di coalizioni elettorali, vincenti il giorno del voto e subito incapaci di governo per il tempo successivo, abbiano fatto fare un salto di qualità alla coscienza politica del Paese reale. Dove è nata l’antipolitica se non, anche, su questo terreno? Le ammucchiate elettorali hanno fatto piuttosto perdere di identità e di riconoscibilità alle vere posizioni alternative sulle questioni di fondo: una visione di società, un’idea di potere, un sistema di nazioni, di Europa e di mondo, nella prossima globalizzazione competitiva tra grandi potenze continentali, cioè, in sintesi, una scelta di campo sul destino dell’umano.

Meloni infuriata, Salvini sbiadito king maker che fantastica un nuovo partito “repubblicano”, Berlusconi che guarda a un nuovo centro…Come ne esce il centrodestra da questa vicenda?
Non ci sarà una rilegittimazione della politica senza una rigenerazione delle forze politiche. “Forze”, appunto, aggregati organizzati a cui il cittadino può affidare la cura e la difesa dei propri interessi. Questo aspetto è rilevante, soprattutto per la parte più bisognosa e indifesa della popolazione. Ecco perché la necessità di partito è più forte e più urgente a sinistra che a destra. Non a caso è da quest’ultima che è venuta l’iniziativa per la destrutturazione del sistema dei partiti. Giustizialismo, guerra alla casta, partiti personali, abolizione del finanziamento pubblico e adesso di nuovo l’eterno ritorno dell’elezione diretta del Capo dello Stato: tutti mezzi allo scopo. E dalla sinistra, sia moderata sia antagonista, mai una vera forte contro-iniziativa. Anzi, su giustizialismo e abolizione del finanziamento pubblico ai partiti hanno perfino dato un buon contributo. A una destra populista, per batterla, c’è solo da contrapporre una sinistra di popolo. Popolo politico e non gente antipolitica. Si ragioni su questo inedito bipolarismo. La destra è maggioranza perché la gente antipolitica c’è, e il popolo politico, che pur c’è stato, oggi non c’è più. È tutto da ricostruire, sulle macerie della seconda Repubblica. Un compito enorme, ma entusiasmante: rivoluzionario nel senso classico del termine. Vedo il compito. Non vedo chi può caricarselo su solide spalle.

Anche nel Pd e in ciò che resta alla sua sinistra?
Un buon maestro, Claudio Napoleoni, ci disse: cercate ancora. Oggi, direi: tentate ancora. Il primo passo è far emergere una nuova generazione di uomini e di donne, vocati e vocate a una weberiana politica forte. Che non è quella predicata e praticata da un rozzo estremismo violento. Al contrario, è più semplicemente e civilmente quella che dice: sì, si può e si deve transitare nel digitale e nell’ambientale, ma solo e sempre a partire dal sociale. Perché questo è sinistra. E se non è questo è un’altra cosa. C’è una contraddizione fondamentale e ci sono tante altre contraddizioni, proprie di una società divisa. Pensare e fare agire questa distinzione è l’atto fondamentale per organizzare la forza della politica. Da dove cominciare, qui e ora? C’è presumibilmente un anno prima delle elezioni politiche. Il campo largo viene dopo: per comporlo in modo efficace e vincente, prima viene l’offerta di un soggetto federatore credibile, identificabile, riconoscibile, e per tutto questo, attraente. A conclusione delle agorà, il Pd promuova una assise nazionale che parli non, secondo la vuota retorica di sempre, al Paese in generale, ma a quella parte del Paese, che intende rappresentare e che è, tra l’altro, oggettivamente maggioritaria. Ho letto una bella intervista di Renzo Piano, sulla Stampa. Gli viene chiesto: da dove si parte per ricostruire? Risposta, che faccio mia: “Non ho dubbi, dalle periferie…. L’Italia è un Paese che ha bisogno di un grande rammendo su più fronti, sulla difesa del territorio come dal punto di vista sociale. E questo lavoro si fa cominciando dalle periferie, che sono state sempre screditate, accompagnate da aggettivi denigratori. Invece è lì che c’è la forza del Paese, sono fabbriche di energia”. Meditino queste parole le sinistre delle ZTL.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.