«L’elezione del Presidente della Repubblica è stata una sorta di impegnativo check-up per il sistema politico-istituzionale nel suo insieme. Un organismo malato che ha però la fortuna di poter ricorrere a due ‘medici’ di primissimo ordine: Sergio Mattarella e Mario Draghi. Un binomio indissolubile. E le speranze del Paese sono legate all’asse tra i due». A parlare è Claudio Petruccioli, una vita nel Pci, più volte parlamentare, direttore de L’Unità e presidente della Rai. A lui la parola.

Come leggere politicamente la “battaglia del Quirinale”, i suoi esiti e le ricadute politiche?
In questa settimana c’è stato uno straordinario, provvidenziale check-up, che fornisce un quadro sullo stato di salute della politica, dei soggetti politici e delle istituzioni. Straordinario anche perché è avvenuto coram populo. Le dirette delle votazioni hanno fatto capire molto ai tanti che le hanno seguite; hanno determinato un flusso di opinione che alla fine si è riflesso anche sui comportamenti di quelli che vengono chiamati i “peones” del Parlamento. È un check up utilissimo, a condizione di saperlo leggere e di rispettarne i responsi.

Che cosa dice questo check-up?
Certifica senza dubbio che l’organismo è malato. La fotografia è veritiera fin nei dettagli (i partiti, le loro leadership, le loro finte coalizioni). Ma il modo in cui il check-up si è concluso conferma un dato importantissimo…

Vale a dire?
Da questa prova è stato confermato che l’unico punto di forza in un quadro “clinico” assai preoccupante è l’asse Mattarella-Draghi. Io sono convinto che Mattarella sia stato del tutto sincero nell’escludere la sua conferma. Del resto, le preoccupazioni costituzionali sulla riconferma hanno un loro fondamento. Su questo, però, è prevalso il linkage definito all’incirca un anno fa quando il Presidente della Repubblica, con nettezza e forza di motivazioni, ha indicato al Parlamento, ai partiti, al Paese Draghi come Presidente del Consiglio. Lì, Mattarella ha compiuto l’atto più significativo del suo settennato; come poteva restare indifferente di fronte al rischio che questo atto venisse vanificato, che il governo saltasse in aria senza aver portato a termine un lavoro proficuo per il Paese? Quel vincolo è prevalso anche sullo “strabismo” di quanti pensavano (parlo di chi era in buona fede, non degli altri) che la sostanza del governo Draghi si sarebbe salvata anche con il trasferimento di Draghi al Quirinale. Che non sarebbe stato possibile è risultato sempre più chiaro durante lo svolgimento della settimana. E, così, il check-up si è concluso con il Parlamento che ha detto: l’unico dato sicuro, saldo, se vogliamo cercare una cura per i malanni che abbiamo riscontrato anche nel corso di queste votazioni, è la conferma di Mattarella al Quirinale; condizione essenziale anche per la vita e la robustezza del governo Draghi. Punto.

Cosa ha influito su quella che è stata definita come una “decisione dal basso” emersa in Parlamento?
Sono diversi i fattori che hanno influito sull’esito finale della corsa quirinalizia: la volontà di non andare a votare subito, le difficoltà di trovare altre soluzioni condivise, il prestigio di Mattarella, ma soprattutto si è capita e ratificata una cosa: che l’Italia ha bisogno assoluto di un governo efficace e un governo diverso da quello in carica oggi non c’è. Se saltava il governo attuale, si andava a votare, sperando non so che cosa e rischiando tantissimo. Questo è l’esito immediato del check-up. Restano i problemi da affrontare per mettere rimedio a quelle situazioni pericolose che il check-up stesso ha messo in evidenza. Non voglio parlare dello sviluppo e della realizzazione dell’ “agenda Draghi” – a cominciare dal Pnrr – già messa a punto nelle linee essenziali, ma da verificare e implementare nel tempo. Parlo degli altri problemi, quelli di carattere politico-istituzionale, che – lo sappiamo per esperienza – producono fiammate di allarme e di indignazione per essere poi messi a dormire in qualche sottoscala.

Quali sono questi problemi?
Il primo, è la legge elettorale, quanto mai urgente. Prima dell’estate dovrebbe esserci almeno l’ossatura di un accordo, anche se mi riesce difficile crederci. Io, come Roberto D’Alimonte e Arturo Parisi (per citare due autorità in materia) sono convinto da decenni che la strada migliore è consentire agli elettori di decidere col voto non solo quale partito preferiscono ma soprattutto a chi vogliono affidare il compito di governare. Però poi c’è la realtà. E ci sono i risultati del check-up…

Che dicono cosa su questo tema?
Dopo quel che abbiamo visto tutti durante la scorsa settimana, se proponi di scegliere fra una alleanza Meloni-Salvini e un’altra Letta-Conte come base di un governo minimamente credibile, il cittadino-elettore ti ride in faccia e ti chiede se lo stai prendendo per i fondelli. D’Alimonte giustamente fa l’elogio della stabilità che viene garantita ai Comuni e alle Regioni con le rispettive leggi elettorali. A livello comunale e regionale, però, la coalizione si costituisce in quanto appoggia lo stesso sindaco o lo stesso “governatore”; e, soprattutto, decade quando questi perde la maggioranza; e si torna al voto. Ora, sia nell’asse Salvini-Meloni sia nell’asse Conte-Letta il contenzioso è esattamente la lotta per chi dei due debba prevalere nei rispettivi campi. Così, le coalizioni sono una truffa: non si fanno i governi e gli elettori non possono fare davvero una scelta. Sulla base del check-up appena concluso, mi sembra che nell’immediato la cosa più realistica – purtroppo – sia di fare una legge in cui si confessa che i partiti attuali non sono in grado di fare proposte credibili per il governo fra cui cittadine e cittadini possano scegliere col voto. Quindi che scelgano, intanto, il partito. Mi sembra inevitabile. Si ritorna allora alla Prima Repubblica? Ci si arrende e si gettano le armi? No, assolutamente. Quella che va fatta è una coraggiosa operazione-verità che parte dal riconoscimento dello stato di salute precario dei partiti, come è emerso anche nella settimana quirinalizia.

E allora, che fare?
Visto lo stato di salute dei partiti, il carattere fittizio e ingannevole delle coalizioni, visto inoltre che non abbiamo una legge per cui si elegge il presidente del Consiglio (o il Presidente della Repubblica) come si elegge il sindaco, nell’immediato non resta che fare un ragionamento serio su quello che appare possibile dopo il prossimo voto.

È già in grado di fare pronostici?
Non prevedo nulla, metto a fuoco quello che dovrebbe essere già evidente a tutti: la prossima legislatura dovrà, obbligatoriamente, fare un grande lavoro costituente. Potrà farlo male; ma di quel lavoro c’è oggettivo bisogno perché con il prossimo voto cambiano i caratteri del Parlamento, che è il centro del sistema istituzionale italiano. Moltissime incognite devono essere risolte rapidamente. Forse la via più realistica e insieme più efficace è ricorrere a riforme puntuali di carattere regolamentare e costituzionale. Di una, molto importante, si parla da tempo: la fiducia e la sfiducia ai governi sia votata a Camere riunite. Questo è un punto di enorme importanza. E alle Camere riunite (quindi anche con commissioni di merito unificate) si potrebbe affidare tutto l’iter del bilancio. Si dovrebbero in ogni caso limitare quanto più possibile le duplicazioni formali, articolando tutto il procedimento legislativo. Così il passaggio a una Camera con 400 membri e a un Senato di 200 può innescare un processo virtuoso anziché provocare una paralisi dell’intero sistema. Non dimentichiamo che la materia specifica di Mattarella è il diritto parlamentare; anche da questo punto di vista non si poteva trovare un Presidente più adatto ai tempi e alle prove che ci attendono.

Qual è la conclusione politica a cui giungere?
Il check-up ha tracciato il quadro delle debolezze dei partiti, della inesistenza o quasi delle coalizioni; al tempo stesso ha ribadito il fattore di forza dell’asse Mattarella-Draghi; dovuta non solo alla sintonia delle persone ma alla connessione delle istituzioni che guidano. Qualunque altra conclusione per il Quirinale avrebbe chiuso in parentesi l’atto di Mattarella di un anno fa. Così, invece, il Parlamento lo assume e lo “normalizza”; e anche i partiti ne prendono atto davvero ammettendo la propria impotenza. È più forte Mattarella ed è più forte Draghi; vale a dire che sono più forti la Presidenza della Repubblica e la Presidenza del Consiglio. L’atto di Mattarella e il governo che ne è scaturito non sono una parentesi da chiudere al più presto ma l’indicazione che la “fisarmonica” può essere estesa fino a quel punto ogniqualvolta se ne presenti la necessità. Girano previsioni secondo cui questo sarà un anno in cui i partiti ne faranno di tutti i colori, cucineranno Draghi rapidamente, lo cacceranno via…Che possano provarci non lo escludo. Ma troveranno pane per i loro denti. Non sono tra quelli che vedono Draghi governare in eterno. Dopo il voto, alla scadenza ordinaria, è probabile ci sia un’altra maggioranza e un altro premier. Ma, con Mattarella al Quirinale, e con il governo Draghi che conclude la legislatura, questa sarà la pietra di paragone sempre incombente, la soluzione alternativa possibile; tanto più se si identifica con una figura che ha la competenza e il prestigio di Mario Draghi. Così è scritto nell’orizzonte dopo la settimana quirinalizia. Prima non era affatto sicuro.

In sintesi?
Voglio dire che, una volta fissato l’asse Mattarella-Draghi, una prima legislatura del Parlamento a 600 su base proporzionale può perfino risultare utile.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.