Michele Prospero ha già scritto per questo giornale cose pertinenti sulla vagheggiata proposta, sostenuta da Enrico Letta e non so quanto largamente e con quanta convinzione all’interno del Partito democratico, di far confluire il Movimento 5stelle nel Partito dei socialisti europei. Tale proposta appare sconcertante, ma non stupisce dato il corso dei rapporti che si sono stretti tra i due soggetti durante la segreteria prima di Zingaretti e poi di Letta. Non è infatti passato molto tempo da quando Zingaretti si era spinto a caldeggiare in prospettiva una sorta di fusione tra gli uni e gli altri elevando Conte a sapiente “federatore” e graditissima guida del governo nazionale. È sembrato che Letta dopo la sua ascesa a segretario avesse inteso segnare una pausa nella politica dell’ “abbraccio”.

Sennonché il processo è tornato a riprendere in maniera via via più intensa e accelerata dopo le recenti elezioni amministrative che hanno visto successi importanti per il Pd. Vien da supporre che Letta, anche di fronte al drastico ridimensionamento subito dai 5stelle, abbia ritenuto, non senza un pizzico Realpolitik, che si presentasse l’occasione buona per stabilire l’egemonia, per così dire, dei democratici su quelli (in ciò invertendo significativamente la linea di Zingaretti, che era stato pronto ad affidare l’egemonia ai grillini). I grillini, ma sarebbe ormai meglio parlare di “contini”, poi continuano ad avere nelle proprie mani il tesoretto costituito dal fatto, divenuto a questo stato delle cose del tutto anomalo ma espressione delle bizzarrie del nostro sistema politico, che questi siano il maggior gruppo presente in Parlamento. Letta punta quindi a legare più strettamente a sé i contini, grazie al loro auspicato ingresso nel Partito socialista europeo, in vista delle grandi manovre per l’elezione del prossimo Presidente della repubblica e più in là delle elezioni politiche.

Il segretario del Pd è oggi un super sostenitore del governo Draghi, e ha riposto nel dimenticatoio sia la fiera battaglia condotta dai 5stelle che gridavano “Conte ancor sempre al governo o morte” sia che se è arrivato Draghi lo si deve all’iniziativa di quel Giamburrasca che è il nemico pubblico numero uno: Matteo Renzi. Orbene, si arriverà al matrimonio tra il movimento dei 5stelle e il Partito dei socialisti europei? Ma a questo punto sorge la doverosa domanda: che cosa ha a che fare con il socialismo il movimento artefice di tutti i possibili giri trasformistici compiuti nella transizione dai due opposti esecutivi Conte al governo Draghi? Chi può dimenticare la pagliaccesca proclamazione fatta da Di Maio dal balcone con stile mussoliniano di avere con il varo del pasticciato reddito di cittadinanza abolito la miseria in Italia? I giri di valzer con il sovranista Salvini e con i gilet gialli francesi? I zig-zag nel campo delle relazioni internazionali? Se vogliono farlo i Zingaretti e i Letta, non possono i socialisti e i democratici italiani.

I partiti socialisti e socialdemocratici, che dalla sinistra italiana guidata da Veltroni in avanti erano stati dati per morti da seppellire, stanno conoscendo una significativa ripresa in vari paesi europei, che vedremo se e come si consoliderà e svilupperà. Si vuole appesantirla di zavorre dalle ondivaghe identità? Se i “contini” intendono aderire al Partito dei socialisti europei porte aperte, ma allora devono farlo passando per una onesta, profonda e non reversibile revisione di tutta quella è stata la loro incultura politica e degli urlati slogans che hanno agitato prima, durante e dopo la vittoria che alle elezioni del 2018 li ha portati a diventare il singolo più forte soggetto politico italiano. Sono capaci e sono disposti di ciò? Non è certo accettabile, sarebbe motivo solo di una grande confusione, assistere ad una loro ennesima operazione trasformistica, questa volta con il patrocinio e la benedizione di Enrico Letta.

Le componenti ex democristiana ed ex comunista che stanno alle origini del Pd (e che avevano l’ambizione di consegnare un “modello” di innovazione su scala europea e addirittura mondiale) condividevano un vera e propria idiosincrasia verso il “vecchio” socialismo e i partiti appartenenti alla sua famiglia. Fu necessario che comparisse Renzi per portare il Pd ad aderire alla famiglia dei socialisti europei. Ora che la socialdemocrazia ha rialzato la testa in Germania e in altri paesi, appare opportuno affrettarsi – così pensa Letta – a traghettare in quella famiglia i 5stelle, rivestiti a festa. Lo scopo è rendere più stretti i rapporti tra il Pd e i 5stelle al fine di costruire una nuova gloriosa “macchina da guerra” in grado – ripeto – di affrontare con successo battaglie come prima l’elezione del Presidente della repubblica e poi quella delle elezioni politiche quando queste verranno. Intendiamoci, è comprensibile che Letta, stando le cose al modo in cui stanno, per fronteggiare Meloni e Salvini caldeggi una intesa con i 5stelle; ma non è accettabile favorire un’amalgama spuria nel seno del socialismo europeo. Fa bene Calenda a tenersi alla larga da una simile linea.

Ma veniamo alle ragioni che rendono in particolare indigeribile (naturalmente per chi ha un certo tipo di stomaco) la confluenza dei seguaci di Conte nel Partito dei socialisti europei. Il Movimento 5stelle ha un tipo di struttura e di leadership che confligge con quella propria dei partiti socialisti. Questi sono partiti i cui programmi e le cui strategie nel campo delle alleanze poggiano su tecniche democratiche nei rapporti con gli iscritti, sulla convocazione di periodici congressi, su una scelta dei candidati alla guida di partito ed eventualmente di governo frutto dei verificati rapporti di forza fra le diverse tendenze interne, su una concezione del Welfare ancorata a definite politiche sociali frutto delle intese tra Stato, imprenditori e sindacati, su una stabile carta dei valori e dei principi. I 5stelle – lo mostra tutto il loro tumultuoso iter dalle origini ad oggi – hanno una struttura che non è né stabile né democratica. Hanno costantemente sbandierato la tesi di essere i più democratici di tutti per merito delle loro confuse piattaforme digitali, ma nella pratica hanno affidato il potere effettivo a leader ritenuti dotati di qualità “carismatiche” obbedendo a logiche demagogiche e populistiche.

Sono nati urlando orgogliosamente la loro solitudine rivoluzionaria contro la “marcia politica” di tutti gli altri partiti e i governi loro malata espressione, e poi vi si sono infilati a loro volta dentro fino al collo. Nelle loro alleanze hanno oscillato scompostamente tra poli opposti, con infinita supponenza, per approdare in seguito alle sconfitte subite e al drastico ridimensionamento della loro base di consenso popolare, alla guida di Conte, alla (relativa) sottomissione al governo di Draghi. Il che ha preparato il terreno alle intese con Letta. Sennonché il marchio del populismo e della demagogia resta sempre lì a caratterizzare una natura che non muta. Si sono fatti bensì paladini di una maggiore giustizia sociale, ma lo strumento che hanno partorito, il reddito di cittadinanza, ha messo in luce tutti i suoi difetti. Buono l’intento, ma non buone le modalità e i mezzi: il pasticcio dei “navigators”, il fallimento del piano diretto a promuovere l’ingresso dei beneficiari nel mondo del lavoro, la mancanza di controlli in grado di contrastare le truffe che sono andate non a caso dilagando.

Insomma, cari 5stelle, caro Conte e caro Letta. La barca ora guidata da Conte fa davvero troppa acqua per farli tranquillamente approdare nel seno dei partiti socialisti e democratici europei. Vogliono entrarvi? Facciano un bel congresso, riflettano sulla loro turbolenta avventura, ne tirino somme vere, buttino alle ortiche populismo, demagogismo, la pseudo e ingannevole democrazia digitale, e allora chi vivrà vedrà. Non siamo il paese dei miracoli?