«Purtroppo non sono stato il primo a dire addio al Pd, se non forse in questa fase. Il Pd è stato investito negli anni da un’emorragia silenziosa di militanti e dirigenti, e mi riferisco soprattutto a quelli tornati mestamente a casa perché si sono sentiti inutili o umiliati. È un progetto, purtroppo, fallito. I segretari nazionali si dimettono sbattendo la porta – da Veltroni a Zingaretti – e non accade niente, neanche un dibattito. Gran parte dei fondatori viventi del Partito Democratico non sono più nel partito, che rimastica e digerisce tutto». Parla Marco Plutino, costituzionalista, docente universitario, riformista, ex militante del Pd.

«Sono andato via perché non c’era spazio per far politica con le idee. Il correntismo è esasperato e deteriore. Non immaginavo che l’avrei un giorno detto: meglio un partito con un chiaro leader che in prospettiva sarà contendibile. Un partito che vive di guerre per bande. Soprattutto meglio un partito che ha un profilo netto e risolto, che non ha paura di portare avanti o il timore di dover contaminare sempre con il contrario, in una eterna irrisolutezza». Si vocifera una sua candidatura con Azione, voci la danno dietro a Mara Carfagna nel proporzionale.

«È una domanda che mi fanno in tanti in questi giorni. Non lo so. Sono entrato in Azione senza chiedere garanzie. Le mie legittime ambizioni vengono dopo e all’interno di ciò che è più utile al partito. Se il mio profilo di militanza, culturale e professionale sarà ritenuto adeguato e utile per la fase attuale potrei esserci. Qualche giorno e sapremo. Però una cosa tengo a dirla. La Campania ha bisogno di una rappresentanza ben attrezzata e che segni una discontinuità forte. Se non lo facciamo noi non lo fa nessuno. La qualità delle nostre candidatura determina la credibilità della nostra proposta. In ogni caso in Azione lavorerò come ho sempre fatto su dossier e temi, dai diritti al regionalismo, avendo sempre in testa il legame tra sviluppo e coesione sociale».

Parliamo di alleanze. «La scelta di formare un’unica lista non è dettata soltanto da una semplificazione d’occasione. I due leader hanno trovato un accordo alto che prevede tra l’altro la formazione di un unico gruppo parlamentare. Se ci sarà un voto incoraggiante da parte degli elettori può nascere in prospettiva finalmente il partito riformista o liberal-democratico. Comunque andrà credo che il Terzo Polo avrà un ruolo significativo nel prossimo parlamento». Il Terzo Polo? «La priorità del Terzo Polo è dare un contributo a risollevare il Paese dal declino che avanza da tempo. Bisogna rilanciare la competitività e tenere insieme sviluppo e coesione sociale. L’ultimo libro di Calenda è molto significativo da questo punto di vista circa un approccio di sinistra liberale inedito, che supera certe ingenuità della Terza via degli anni ‘90. La sua esperienza di ministro al Mise dà la cifra delle nostre coordinate, che mettono produzione e lavoro di qualità al centro dell’agenda economico-sociale. Un posto di rilievo assoluto va dunque all’istruzione e alla ricerca, e alla creazione di una società della conoscenza. Ovviamente all’interno di un posizionamento internazionale chiaro e netto sulla sponda occidentale e atlantica».

Un’emergenza costante è la giustizia. «La giustizia è uno dei maggiori problemi del nostro Paese e ha molti versanti, dalla carenza drammatica di garanzie, ai tempi dei processi che fanno malissimo all’economia e ai rapporti civili, al rapporto perverso tra politica e magistratura, allo stato dei penitenziari, ma l’elenco potrebbe continuare a lungo parlando della giustizia minorile, del reclutamento e così via. Qui il Terzo Polo può fare tanto perché emerge a tutto tondo il nostro lato liberale e garantistico, pienamente risolto». Carceri, sanità, scuola, le altre emergenze.

«Si tratta del cuore dello Stato sociale insieme alle politiche attive del lavoro e a quelle assistenziali. Siccome dei cenni agli altri aspetti già li ho fatti mi consenta di concentrarmi sulla sanità. Abbiamo un sistema sanitario che nonostante tutto è ancora notevole, e parte centrale della nostra identità nazionale, ma la funzione dello Stato di assicurazione dei standard uniformi sul territorio nazionale deve essere rafforzata anche mediante una revisione del Titolo V, parte seconda della Costituzione. La sanità al Sud conosce anche eccellenze ma è ancora troppo indietro, come segnala la classifica periodica dei l.e.a. E anche al Nord il rapporto pubblico-privato si è squilibrato. Una sanità di impronta liberale non è certamente quella alla Formigoni, che ha sfigurato il sistema sanitario».

Necessaria una spinta riformista: come attuarla? «L’Italia sta entrando in una fase molto delicata dove si combina una fiammata inflazionistica con un forte rialzo dei tassi e numerosi fattori di rischio e criticità internazionali. Il tempo della propaganda è durato fin troppo anche se qualcuno si attarda nella demagogia. Ci attendono sfide molto difficili nell’autunno che solo il riformismo delle cose studiate, fatte bene e se necessario opportunamente revisionate – un riformismo che tiene insieme vincoli e opportunità – può affrontare. Lo diremo chiaramente agli elettori, sperando che apprezzeranno il nostro approccio, basato su tre c: coerenza, credibilità e competenza».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).