Goffredo Bettini ha consegnato al Corriere della Sera alcune idee sulla Giustizia penale in Italia inedite per l’area politica di provenienza e per molti versi sorprendenti. Le ha infatti inserite nel contesto di un ragionamento che spiegava il senso dell’alleanza politica Pd-5 Stelle, da lui sostenuta e difesa, per rimarcare la distanza culturale e programmatica “più dolorosa” (sono sue parole) tra le non poche che pure a suo dire caratterizzano una convivenza necessitata – è la tesi – dal contingente quadro politico e sociale.

Bettini non è solo un autorevole esponente del Pd, e il rilievo che il principale quotidiano italiano ha voluto riservare all’intervista ne è la più plastica conferma: egli è, secondo i più, il king maker della odierna politica dem. Per quanto si sia affrettato a sottolineare la natura personale delle opinioni espresse, mi sembra difficile che esse possano passare inosservate all’interno del Partito Democratico, soprattutto se si consideri l’accurata precisione dei temi che egli ha inteso evocare. Quali sono dunque i temi sui quali Bettini ha rivendicato la più marcata distanza dal populismo giustizialista dell’alleato grillino?

Durata eccessiva e non governata delle indagini preliminari; abuso della custodia cautelare, definita nei suoi eccessi “torturante”; l’abolizione della prescrizione, fiore all’occhiello del giustizialismo grillino, con la indecente conseguenza che noi penalisti abbiamo definito dell’ “imputato a vita”; ed infine – davvero parole rivoluzionante sulle labbra di un leader piddino – la necessità di rafforzare e garantire la terzietà del Giudice rispetto al Pubblico Ministero, per garantire un indispensabile “riequilibrio tra accusa e difesa”.

Saranno anche opinioni personali, ma è bene rimarcare che non le avevamo mai sentite, dette così e dette tutte insieme, da parte di un leader di scuola comunista ed ora piddina del calibro di Goffredo Bettini. Quei punti, elencati con una attenzione al dettaglio che non si può seriamente ignorare, costituiscono da sempre, non uno escluso, il tratto identitario di quella idea liberale della giustizia penale che definisce storicamente il terreno privilegiato dell’impegno politico delle Camere Penali italiane.

Le reazioni che ho potuto registrare sono, al momento, del più sconfortato pessimismo. In tanti, pur comprendendo il senso della mia sottolineatura già nei giorni scorsi, hanno espresso la certezza che nulla accadrà in un’area politica che ha, da sempre, tradizioni molto più prossime al giustizialismo grillino che a quella visione liberale del diritto penale la quale, senza dubbio, non vi ha mai fatto ingresso sin da quando il portone era in via delle Botteghe Oscure. E d’altro canto, questo primo anno di governo giallorosa ha registrato proprio sulla Giustizia penale, nei fatti ed al netto di qualche sbiadita quanto inefficace presa di distanza, le convergenze più significative con l’agenda controriformista del Ministro Bonafede.

Si tratta di osservazioni fondatissime, ma che proprio per questo conferiscono alla improvvisa sortita di Bettini una forza peculiare. Faccio fatica a credere che questo leader, da qualche mese rientrato prepotentemente sulla scena politica con un riconosciuto ruolo di protagonista, abbia sottovalutato il peso, ripeto, inedito e sorprendente di una presa di posizione così circostanziata e inequivoca, adottata per di più nel contesto di una intervista di intenzionale rilievo mediatico e politico.

Staremo a vedere, dunque, e comprenderemo meglio nei prossimi snodi del dibattito politico italiano a chi Bettini abbia inteso rivolgersi all’interno del proprio partito, e con quale esito. D’altronde abbiamo da tempo registrato, in una parte certamente minoritaria ma tuttavia qualificata dei parlamentari del partito democratico, una significativa attenzione e una esplicita condivisione delle iniziative politiche dei penalisti italiani. A noi non interessano le polemiche sterili e le petizioni ideologiche pregiudiziali. Crediamo nella forza delle nostre idee, ed incoraggiamo con convinzione, nei confronti di chiunque, ogni segnale di attenzione, ed ogni possibile apertura al dialogo. Questo è d’altronde il fascino inestinguibile della bella politica, al quale, nonostante i tempi tristi che viviamo, non sappiamo e non vogliamo resistere.

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