Il caso del figlio Ciro
Il solito Grillo, stavolta il nemico non è Berlusconi ma il corpo di una ragazza
Non ho visto un padre disperato. Ho visto solo Beppe Grillo che faceva Beppe Grillo. Una volta di più, oggi come ieri, sui social, la piazza che giudica, che emette sentenze. La morale dei buoni contro quella dei cattivi. Ho visto con gli occhi del passato il comico che si faceva politico con i suoi vaffa-day, gli urli scomposti contro Berlusconi e i suoi costumi sessuali, l’irrisione sul figlio di Umberto Bossi, il “trota”, la violenza con cui bastonava Maria Elena Boschi e il di lei padre, e i genitori di Matteo Salvini condannati da sentenza irrevocabile perché non avevano fatto sesso protetto la sera in cui lo avevano concepito.
E oggi la bastonata si scaglia sul corpo di una ragazza, senza pietà. Non è una difesa di suo figlio, quella in cui si è esibito Beppe Grillo nel video di lunedì, e non è casuale che siano in gran parte maschi coloro che, pur criticandolo, mostrano comprensione “per il suo dolore di padre” di fronte a un possibile rinvio a giudizio del figlio per il reato di stupro. No, Beppe Grillo è sempre stato accusatore, il ruolo di avvocato difensore non fa parte del suo dna, sarebbe un corpo estraneo nella società dei puri che lui ha costruito a propria immagine e somiglianza, poi portata nelle piazze e infine in Parlamento. Una comunità in cui non importa avere studiato o lavorato, o essere intelligenti o cretini, tanto uno vale uno, ma solo avere su di sé le stimmate della purezza. Una società violenta, fondata sull’esclusione e sull’aggressione degli altri, sull’irrisione degli altri, la casta, gli indagati, il Parlamento da aprire come una scatola di tonno.
In questa logica, suo figlio Ciro è puro e innocente a prescindere, non si permettano magistrati o giornalisti o ragazze dall’ubriachezza facile, di metterlo in discussione. Così il suo abbraccio al rampollo è solo apparente. Non c’è un padre disperato perché Ciro forse verrà rinviato a giudizio, o forse per ora sarà solo il pubblico ministero (nel mondo dei puri non c’è differenza tra chi accusa e chi decide) a richiederlo, c’è solo il cavaliere senza macchia che si scatena contro il corpo della ragazza. Già, il corpo. Vengono in mente le parole scritte da una giudice di Milano nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Alberto Genovese, l’imprenditore accusato di violenza su un’altra ragazza, anche lei, proprio come quella che ha denunciato di esser stata violentata a Tempio Pausania da Ciro Grillo i suoi tre amici, in una sorta di crisi psichedelica o etilica. Una resa passiva con la “coca dello stupro”, l’altra con la vodka, fatta ingerire a forza, secondo l’accusa.
Una donna ridotta a bambolina di pezza, scriveva la giudice milanese. Un corpo che, in assenza di coscienza della persona, poteva essere usato a piacimento, e poi penetrato come si potrebbe fare con un buco qualunque. Ma c’era il consenso dell’altro corpo, si difendono i ragazzi. Nessun senso di colpa, dunque? Mi viene in mente l’angoscia del protagonista di un romanzo di Gianrico Carofiglio dopo aver partecipato a una serata di maschi che in un college si erano messi in fila perché c’era una ragazza che “faceva il trenino”, e il suo corpo veniva penetrato da tutti. Non pare invece esserci angoscia, ma solo irrisione, nel messaggio gridato di Beppe Grillo. Non ci sono sentimenti, ma un certo compiacimento, mentre indica con la mano il proprio pube e racconta – quasi da uomo a uomo – delle risate e del divertimento di quei burloni dei quattro ragazzi in mutande e con i piselli di fuori.
Non ci sono le donne, nel mondo dei puri di Beppe Grillo. Ci fa tornare ai tempi di quel tragico film che fu il famoso documentario Processo per stupro del 1979, con le risate grasse dei maschi avvocati che alludevano e si davano di gomito e domandavano con insistenza alla ragazza violentata se avesse goduto durante il rapporto. C’era qualcosa di osceno in quelle voci, in quegli sguardi di maschio. Ma l’appassionata e indimenticabile arringa di Tina Lagostena Bassi e il documentario tutto girato e diretto da donne cambiarono il volto all’Italia e alla sua parte più arretrata. Cambiarono gli uomini, soprattutto. Così almeno, fino a pochi giorni fa, credevamo. E vogliamo continuare a crederlo. Nonostante Grillo.
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