Il Napoli ha trasformato la passerella Champions contro il Verona nel miglio verde, l’ultimo chilometro del braccio della morte nelle carceri statunitensi. Un suicidio inspiegabile, costato il fegato ai tifosi e 50 milioni al presidente Aurelio De Laurentiis. I 90 minuti in campo sono stati segnati da una prestazione sportiva priva di senso, ma il dopo-partita è stato pure peggio.

A distanza di giorni, nessuno ha provato a spiegare o a scusarsi. Rino Gattuso, il tecnico più rimontato dalla serie A tra le squadre che contino qualcosa, è scappato a Firenze, dopo la solita letterina d’amore per Napoli, cliché obbligato per allenatori in partenza e candidati a sindaco in arrivo. I calciatori si sono rifugiati nella loro vita su Instagram, tra foto del golfo e cuoricini al mister, sperando di cancellare le facce gialle mostrate allo stadio Diego Armando Maradona. De Laurentiis ha fatto ricorso all’arma di distrazione di massa più usata nei mesi di silenzio stampa, il toto allenatore. Sergio Conceição è subito svanito tra le note malinconiche di un fado: «Não sei por que te foste embora», gli avranno chiesto dal Corriere dello Sport, ingannati dall’imbeccata velenosa di De Laurentiis che, invece, annunciava al mondo di aver scelto «an italian guy», il focoso Luciano Spalletti. In ogni caso, il Napoli, senza Champions e con un passivo di 19 milioni nel 2020, si avvia a dolorose cessioni e a un ridimensionamento inevitabile di ingaggi e investimenti (sui calciatori, beninteso, perché per il resto la casella è da sempre a zero o poco più).

A Napoli, invece, va tutto come previsto. Il Comune viaggia verso il dissesto che il sindaco Luigi de Magistris aggirerà dimettendosi per potersi candidare in Calabria. Un monumento al coraggio e alla responsabilità istituzionale, accompagnato da comportamenti surreali: l’annuncio dell’ennesimo restyling virtuale del lungomare, mentre resta un mistero l’apertura del cantiere reale alla Galleria Vittoria; o le dichiarazioni sulle toghe (le altre, si capisce) che devono rimanere «fuori dalla politica». Paradossi verbali di un “sindaco a distanza” che ha scassato e abbandonato la città, superando a sua insaputa le teorie di Guy Debord e Marshall McLuhan sulla società dello spettacolo e inaugurando l’epoca dell’avanspettacolo istituzionale. Intanto, sul palco arrivano i candidati delle coalizioni nazionali: “Fantomas” Maresca ha annunciato la sua candidatura, dichiarando di volere i voti ma non i candidati del centrodestra. Auguri.

Anche Gaetano Manfredi ha sciolto la riserva, dopo essere andato alla ricerca dei 5 miliardi perduti, un po’ Eddy Murphy un po’ Blues Brothers. Non li ha trovati, altrimenti sarebbe stato veramente Mandrake, ma ha avuto “rassicurazioni” dai vertici di Pd e M5S. Augurissimi. Svanisce Roberto Fico che ha preso il coraggio a due mani dichiarando di voler rimanere presidente della Camera fino al 2023. Antonio Bassolino non molla e resta solo da capire, a questo punto, il destino dei vasi di coccio del centrosinistra, Alessandra Clemente e Sergio D’Angelo. Il paesaggio, però, inquieta e ricorda la didascalia ossessiva di un famoso film di Mathieu Kassovitz: il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.