Sport e politica
Napoli, squadra e città nella bufera: chi avrà il coraggio di mettersi al timone?
Tra una goleada e l’altra, il Napoli continua a navigare nel mare periglioso della Champions. La meta è vicina ma le avversarie non mollano, anche se la Juve ormai barcolla tra debiti spaventosi e progetti naufragati di superleghe virtuali e presunti maestri. Mancano solo due partite e il Napoli, vincendole, completerebbe un’impresa, passando in due mesi e mezzo dall’anonimato del centro classifica all’Europa che conta.
Il Phileas Fogg del “giro della Serie A in 80 giorni” è senza dubbio Victor Osimhen, vento africano da oltre venti miglia orarie che sta spingendo le vele di Aurelio De Laurentiis verso l’Eldorado Champions. E chi altri, se non la nave di Magellano, che per prima circumnavigò il globo, si chiamava Victoria? L’incertezza più grande è legata piuttosto al nuovo allenatore. Chi sarà al timone della squadra nella stagione del probabile ritorno del pubblico allo stadio Maradona? Il casting prosegue, non meno incerto e misterioso della corsa per Palazzo San Giacomo. La differenza è che Spalletti o Allegri gestiranno un club solido e in Europa da undici anni, mentre il prossimo sindaco dovrà affrontare il dissesto economico e il disastro amministrativo lasciati in eredità da Luigi de Magistris.
Il “sindaco a distanza” punta a riciclare in Calabria il “laboratorio politico” scassatosi a Napoli e intanto si domanda, come Nanni Moretti in Ecce Bombo, se a giugno si noteranno di più le sue dimissioni o la mancata approvazione del bilancio in Consiglio comunale. E se Antonio Bassolino non demorde, perché anche nel 1993 trovò un Comune fallito, i due candidati già usciti dal mazzo arancione, Sergio D’Angelo e Alessandra Clemente, sanno invece che la valanga del dissesto potrebbe franare proprio su di loro. Altri potenziali candidati latitano ancora, perché Roberto Fico è sospeso, Gaetano Manfredi turbato, Catello Maresca impicciato. Tutti, però, intonano al Governo il motivetto, reso celebre da Carosone, «Salva Napoli, Napoli milionaria», sperando in qualche nuovo codicillo spalma debiti prima di decidere il da farsi.
Il tempo stringe, però, e così qualcuno comincia a sentirsi tirare per la giacca. È il caso dell’ex magnifico rettore che, come Ciccio Formaggio, continua a ripetere infastidito alle tante Luisa del centrosinistra a Cinque Stelle: «Si mme vulisse bene overamente, nun mme facisse sfruculiá da ‘a gente, nun mme tagliasse ‘e pizze d”a paglietta, nun mme mettisse ‘a vrénna ‘int”a giacchetta». Preghiere destinate a rimanere inascoltate, perché la politica locale non è fatta di eleganti rettorati e ovattati uffici ministeriali, bensì di allucchi e di strattoni, a qualunque latitudine. E siccome l’abitudine è un despota, come annotava Puskin mentre gettava luce e poesia sullo spleen di Onegin, un buon sindaco non deve turbarsi, ma «vezzeggiare o spegnere» sodali e avversari, senza perdere il controllo. Insomma, governare, quello che da mesi non accade più a Napoli, dove per sperare bisogna rifugiarsi nelle antiche resilienze dei quartieri, come a Bagnoli, dove i comitati continuano a presidiare la bonifica, o dell’arte, sangue vivo della città che torna a scorrere nei teatri che riaprono. Adda passà ‘a nuttata.
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