Tra sport e politica
De Magistris come Andrea Agnelli: su Superlega e debito “avimme pazziato”

Con una maglia “burlona” e un’altra porteña, il Napoli ha dato la scossa al campionato contro Inter e Lazio, proprio mentre la Champions spariva all’improvviso. L’iceberg antartico A68, grande quanto la Liguria, ha impiegato anni per dissolversi nell’oceano, nonostante il riscaldamento globale, mentre è sembrato che la Champions non potesse resistere nemmeno a un anno di pandemia e alla montagna di debiti dei “dodici apostoli della scissione”, i top team protagonisti della notte dei lunghi coltelli contro l’Uefa. Ma la Super League è stata subito travolta da sputi e pernacchie, naufragando miseramente.
Andrea Agnelli, lord protector dei puritani del capitalismo a debito e Giuda della congiura, è passato in due giorni da leader del cambiamento a zimbello del football mondiale, facendo con Florentino Perez la fine di Ben e Gus, i sicari del Calapranzi di Harold Pinter, in attesa di una vittima che non arriverà e costretti a spararsi tra loro. De Laurentiis, invece, ha scelto di non esporsi. Un silenzio cantatore per chi della Super League aveva fatto un cavallo di battaglia e ora, pur temendone il fallimento, ha sperato fino all’ultimo in un’intesa che gli consentisse di salire a bordo senza danni. Astuto, ma in futuro De Laurentiis dovrà stare attento a non finire come l’asino di Buridano, che morì di fame per non aver saputo scegliere il cesto da cui mangiare.
E le burle non finiscono qui. A Napoli abbondano storielle grottesche che Nabokov avrebbe definito “poshlust”, guarrattelle banali, fasulle, dalla volgarità esibita. L’ex commissario dell’Abc Sergio D’Angelo è stato sollevato dall’incarico subito dopo l’inaugurazione della fontana delle paparelle, a cui aveva assistito sorridente accanto ad Alessandra Clemente. D’Angelo ha espresso stupore, lo stesso manifestato quando erano apparsi i manifesti che lo candidavano a sindaco (a sua insaputa, si capisce), ma pare che all’inclemente Alessandra, reginetta dei nastri e dei cantieri, non sia piaciuto condividere con lui la passerella elettorale.
E che dire dell’incredibile vicenda del debito ingiusto del Comune di Napoli? La delibera rivoluzionaria dell’aprile 2020 lo aveva abolito inaudita altera parte, argomentando dottamente che «è ‘o popolo ca ‘o vvò». Ma la Deutsche Bank, creditrice con un bidone al posto del cuore, non si era lasciata impressionare, promuovendo ricorso all’High Court of Justice. La giunta arancione, nel panico, ha approvato un’altra delibera che chiariva «la permanenza dell’efficacia e della validità degli swap», impegnando 75mila euro (altro debito ingiusto, certamente) per la propria difesa legale a Londra. Il ragioniere generale, vista la “contumacia calabrese” del sindaco, ha infine scritto una lettera trepidante, giurando che quello del 2020 era un «mero atto di indirizzo senza conseguenze»; insomma, «avimme pazziato». Una lettera che non sortirà effetti, ma rimarrà comunque negli annali accanto a quelle dei fratelli Caponi o a Savonarola, prova ulteriore, direbbe Erri De Luca, della irriducibilità di Napoli, città che non ammette intrusioni nel racconto paradossale di se stessa.
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