Ben 400 milioni di dollari a testa all’anno per 12 club tra i più blasonati del calcio mondiale. Questi i numeri della Super League del calcio europeo, la nuova competizione continentale che, se dovesse davvero vedere la luce, travolgerebbe le strutture e l’economia del calcio globale. Dopo mesi di trattative segrete, domenica sera il gruppo di società fondatrici ha confermato il piano. Il nuovo torneo avrebbe le caratteristiche di competizioni chiuse come le americane Nfl (football) e Nba (basket), tornei separati, liberi dallo spettro della promozione e della retrocessione: un modello di successo, anche perché le società hanno il controllo totale del budget. La nuova Super League sarebbe una lega a 20 squadre: 15 membri permanenti e 5 ulteriori membri qualificati attraverso le competizioni nazionali. Le 20 squadre si sfideranno in due gironi da 10 squadre ciascuno. I quarti e le semifinali saranno a eliminazione diretta con gare di andata e ritorno. Il vincitore sarà incoronato in una finale con partita unica.

I ricavi, superiori a quelli generati dall’attuale competizione europea, “dovrebbero superare i 10 miliardi di euro nel corso del periodo di impegno iniziale dei club”, promettono i soci fondatori della Super League. I quali condivideranno una “base finanziaria sostenibile” di 3,5 miliardi di euro (quasi 4,2 miliardi di dollari), sostenuta con il finanziamento di JP Morgan. In sostanza, ogni club fondatore riceverà circa 400 milioni di dollari, una somma quattro volte superiore a quella che il vincitore della Champions League ha portato a casa nel 2020. Finora i club coinvolti sono dodici. Sei inglesi: Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Tottenham. Tre spagnole: Atletico Madrid, Barcellona, Real Madrid. Tre italiane: Juventus, Inter e Milan. Non hanno ancora aderito i top club di Francia e Germania. Positiva la reazione dei mercati che hanno inondato di acquisti gli unici due titoli quotati tra le squadre coinvolte, Juventus e Manchester United. La risposta dell’Uefa, però, non si è fatta attendere. Proprio ieri l’esecutivo ha dato il via libera alla riforma delle competizioni europee: la nuova Champions League sarà un minicampionato a 36 squadre.

Una riforma – si legge nelle dichiarazioni ufficiali – che arriva «dopo un’ampia consultazione con tutta la famiglia del calcio europeo» e che conferma «l’impegno comune verso il principio della competizione aperta e del merito sportivo in tutto il continente, con l’obiettivo di sostenere i campionati nazionali». Il nuovo format, rivendica il presidente dell’Uefa, Aleksander Ceferin, «mantiene inalterato il principio secondo cui i risultati e i piazzamenti a livello nazionale devono essere la chiave per la qualificazione, e riconferma i principi di solidarietà attraverso gioco e competizione aperta». L’Uefa vuole così mantenere vivo «il sogno di ogni squadra europea di partecipare alla Champions League grazie ai risultati ottenuti in campo» e consentirà la prosperità e la crescita a tutti, «non solo a un ristretto gruppo di club autoselezionati».

Contro la “secessione dei ricchi” dicono no Rampelli di Fdi (“un progetto mostruoso, lontano dallo sport”) e Salvini (“Scelta non meritocratica, non mi convince”). Per Castaldo del M5s, la Superlega «rende il calcio sempre più oligarchico e schiavo del business: è una condanna per club e serie minori all’emarginazione sportiva». Anche l’expresidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si professa “caparbiamente contrario”: la Superlega «spegne passione e magia». Anche il presidente del Consiglio Draghi avverte: «Il Governo sostiene con determinazione le posizioni delle autorità calcistiche italiane ed europee per preservare le competizioni nazionali, i valori meritocratici e la funzione sociale dello sport».

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