«Sai, certe volte penso di aver già provato tutti i sentimenti che potessi provare e che d’ora in poi non proverò più niente di nuovo, ma solo versioni inferiori di quello che ho già provato», dice uno sconsolato Joaquin Phoenix nei panni di Theodore Twombly. Il protagonista di Her – il film di Spike Jones del 2014, ora disponibile nel catalogo Netflix Italia – ci assomiglia. Forse perché Her è ambientato proprio nel nostro anno, il fatidico 2020. Ciò che accade in quella Los Angeles futuristica parla del presente e delle emozioni ambivalenti che stiamo vivendo in queste settimane.

Her non è un banale film romantico. Racconta la parabola, dall’innamoramento all’addio, della storia d’amore tra Theo e Sam. Ma Theodore è un uomo e Samantha è un sistema operativo che si auto-attribuisce un nome “umano”. Her – “Lei”, complemento oggetto femminile e non pronome personale soggetto – racconta tutte le sfumature di una relazione d’amore con un software. «Ti facciamo una semplice domanda. Chi sei? Chi potresti essere? Dove stai andando? Cosa c’è nel mondo? Quali possibilità ci sono? La Element Software è orgogliosa di presentare il primo sistema operativo di intelligenza artificiale. Un’entità intuitiva che ti ascolta, ti capisce e ti conosce. Non è solo un sistema operativo, è una coscienza». Così recita la pubblicità che convince Theo a scaricare OS1: una tecnologia che ti ascolta, ti capisce, ti conosce.

Theodore è un uomo introverso, vive nel passato e nel ricordo di un amore perduto, fatica a esternare le proprie emozioni. Si comporta con i sentimenti così come gestisce le email – delete, cancella – e vive chiuso in casa, in un mondo asettico e solitario tra sesso virtuale e videogame. L’unica relazione che riesce a gestire è quella con il computer e il sistema operativo dalla voce profonda e seducente di Scarlett Johansson (altro che la voce metallica di Alexa!) colma perfettamente il suo vuoto affettivo, senza i rischi e le insicurezze di un incontro con una sconosciuta.
Theo per lavoro trova le parole giuste per esprimere i sentimenti degli altri: scrive lettere d’amore su commissione. Munito di auricolari e comandi vocali, detta bellissime dichiarazioni amorose e il computer pensa a imitare la calligrafia di clienti sconosciuti che devono farsi perdonare dall’amato o festeggiare una ricorrenza.

In questi giorni, molte coppie sono separate, molti amanti non possono stare insieme nella stessa stanza. E così – senza contatto fisico con il corpo dell’altro, senza baci, senza abbracci, senza sesso – hanno scoperto un’altra dimensione dell’amore: l’amore che si fa con le parole. L’intimità del discorso amoroso capace di rimpiazzare le carezze. Molte delle nostre relazioni sono al momento forzatamente filtrate dai dispositivi digitali e la tecnologia è l’unica mediazione che rende possibile coltivare rapporti a distanza: sappiamo bene cosa significa scambiarsi il buongiorno e la buonanotte con una voce al telefono.

Non solo sexting, chat o videochiamate finalizzate ad un autoerotismo soddisfacente, quanto imbarazzante e malinconico. Anche la vita sentimentale online – abbiamo scoperto in questi giorni difficili – è però vita condivisa; le frasi d’amore trasportano le emozioni nell’etere per dire la lontananza. Un linguaggio d’amore che nasce dalla mancanza dell’altro: “assenza più acuta presenza”. Ma nel mondo di domani – dove il virus non è scomparso e con lui non se ne è andato il distanziamento sociale – la tecnologia sarà l’unico veicolo per far nascere nuove relazioni, a patto che qualcuno voglia fare il primo passo e sfidare il rischio del contagio in cambio del batticuore del primo bacio.
Tanto vale, profetizza Her, eliminare il pericolo e tuffarsi nella realtà virtuale. «C’è qualcosa che ti fa stare bene quando condividi la vita con qualcuno» dice Theo ricordando i giorni felici trascorsi con sua moglie. Ma Samantha, l’intelligenza artificiale che ha riattivato il suo cuore, non ha le alterazioni emotive e gli sbalzi d’umore intollerabili che hanno messo fine al suo matrimonio.

Sam lo conosce bene Theo e lo comprende: ha studiato tutte le sue tracce online, scaricato le sue foto, letto le sue conversazioni. E per questo si costruisce e si plasma sui suoi gusti e sulle sue preferenze, conosce il mondo solo dalla telecamera dello smartphone che spunta dal suo taschino. Quando si dice “vedere il mondo con gli occhi dell’altro”.
Nell’universo post-covid, proliferante di relazioni digitali, baluginerà il sogno di Theo, moderno Pigmalione: plasmare una Sam, la nuova Galatea, a nostra immagine e somiglianza, uno specchio in cui rivedere se stessi e sentire l’eco della propria voce. Senza il raffronto con gli aspetti disturbanti dell’altro, rimuovendo i difetti della convivenza e le imperfezioni che solo la vicinanza fa riconoscere.

Così come la perfetta Galatea scolpita da Pigmalione assomiglia a una donna vera ma è fatta di marmo, così Samantha è soltanto una voce che parla da lontano. Non ha un corpo in carne e ossa. E per quanto tentiamo di rimuoverlo, il riferimento al corpo dell’altro rimane sempre. Anche se solo in absentia, ritorna prepotente e costante. Così come finisce la relazione tra Theo e Sam, ogni legame ideale che elide il corpo è destinato a sgretolarsi come la pietra della statua.

«La sua voce non dava ciò che dava il suo corpo» scrive Roland Barthes nei Frammenti di un discorso amoroso. Il corpo dell’amato, unico tra gli altri, è “adorabile”, insostituibile nella sua differenza. Per quanto possiamo sforzarci di pensarlo, non c’è amore disincarnato, senza organi e senza pelle: la scala amoris passa sempre attraverso l’incontro carnale. La nuova stagione dell’amore sogna una profilassi da cui sono esclusi il sudore e le lacrime. Ai tempi del covid le fonti del contagio corrispondono alle agognate qualità del corpo amoroso. Eppure, scrive Gabriel García Márquez ne L’amore ai tempi del colera: «Capita che sfiori la vita di qualcuno, ti innamori e decidi che la cosa più importante è toccarlo».