Oggi entra in vigore la nuova disciplina sulle intercettazioni. Come sappiamo la riforma ha avuto un iter complesso: si era partiti dalla cosiddetta riforma Orlando che, inizialmente prevista per il 2018, è stata oggetto di numerose proroghe, ed è stata poi modificata nella corrente legislatura dal decreto-legge n. 161 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 7 del 2020. Ne commentiamo le novità con l’avvocato Eriberto Rosso, Segretario dell’Unione delle Camere Penali Italiane.

Avvocato qual è il giudizio politico sulla riforma delle intercettazioni?
L’effettiva operatività delle nuove norme per la gestione delle intercettazioni telefoniche non porta certo con sé una migliore qualità delle regole di utilizzo di uno strumento così invasivo della vita delle persone, né prevede ulteriori garanzie per preservare la vita privata da una sorta di morbosa curiosità sociale che nulla ha a che vedere con le esigenze di investigazione.

Entrando nel merito quali sono i punti contestabili?
Aumenta il novero dei reati per i quali l’intercettazione è possibile anche con l’utilizzo del famigerato trojan, e cioè di uno strumento che consente non solo la captazione delle conversazioni ma l’ingerenza negli aspetti più intimi della nostra quotidianità. È assai grave che, cedendo alla logica giustizialista che ha voluto la nuova disciplina per i reati della pubblica amministrazione equiparandoli ai fenomeni relativi alla criminalità organizzata, anche questa parzialmente diversa maggioranza politica abbia mantenuto l’ampliamento delle ipotesi di intercettazione.

Ritiene corretta l’utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti e reati estranei al procedimento autorizzativo?
Assolutamente no. Addirittura, in sede di conversione, il Parlamento ha inteso “fermare” l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che con la pronuncia Cavallo (n. 51 del 2.1.2020) hanno sostanzialmente stabilito dei limiti alla circolazione del materiale intercettato nei procedimenti diversi da quello per il quale è stata disposta l’intercettazione, richiedendo che sia ravvisabile una vera e propria ipotesi di “connessione” tra i procedimenti e dunque escludendo le situazioni di “collegamento” meramente “investigativo”. Il Parlamento non ha inteso recuperare i ragionevoli limiti indicati dalla Cassazione per il rispetto del bilanciamento degli interessi costituzionalmente garantiti, ma ci ha consegnato la “foglia di fico” dell’aggettivo “rilevante” aggiunto in sede di conversione al termine “indispensabile”, come se vi siano immaginabili situazioni nelle quali ciò che è indispensabile non sia anche rilevante.

Quale il suo giudizio sull’archivio digitale?
La vulgata secondo la quale questo ulteriore pezzo di riforma abbia previsto una maggiore protezione dei dati sensibili, contrastando così la pubblicazione di atti segreti del procedimento è in realtà priva di fondamento. In realtà, da questo punto di vista la situazione è peggiorata: oggi è possibile il riferimento al contenuto delle intercettazioni con l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare. Per la difesa diviene assai complicata l’attività di verifica del contenuto delle intercettazioni e la individuazione di telefonate interessanti a fini difensivi fuori da quelle indicate dalla Procura; il Pubblico Ministero diviene l’attore principale della gestione delle stesse tempistiche per la conoscibilità del risultato investigativo, mentre per il difensore è previsto un tempo assai ristretto per l’ascolto del materiale. L’archivio digitale (non più riservato, come previsto dalla cd. riforma Orlando) è nell’esclusiva disponibilità dell’Ufficio del Pubblico Ministero. Il tema vero è un altro.

Quale?
In materia di intercettazioni, la partita doveva giocarsi non solo sulle modalità di gestione dei dati – è comunque inquietante che per una parte del procedimento la gestione sia in mano a società private, con ogni conseguente considerazione in materia di sicurezza e segretezza – ma sui presupposti sostanziali che autorizzano il ricorso ad uno strumento così invasivo. Su questo piano il nostro Legislatore ha perso un’importante occasione per dare un equilibrio conforme alla Costituzione ai diritti in gioco. Resta comunque inaccettabile ed incompatibile con il principio della parità delle parti nel processo che sia riservata al pubblico ministero l’individuazione del termine, previsto dall’art. 268 comma 4 c.p.p., entro il quale il difensore può esaminare le risultanze e la documentazione inerente l’attività di intercettazione.

Cosa si sarebbe dovuto prevedere?
Un termine inderogabile, stabilito per legge, sufficientemente ampio da consentire l’esercizio delle prerogative della difesa, sia per le attività di ascolto sia per l’attività di controllo degli atti.