«Limitare la vita privata dei magistrati non è la soluzione ai problemi del processo d’appello. Più utile è correggere lo squilibrio tra piante organiche e carichi di lavoro che si registra in sedi giudiziarie come Napoli». Nicola Graziano, giudice della sezione fallimentare del Tribunale partenopeo, interviene nel dibattito aperto dopo che il penalista Gennaro Rocco di Torrepadula ha ritrovato, prima di un’udienza davanti alla Corte d’appello, la (presunta) bozza della sentenza scritta dal giudice relatore.

Che idea si è fatto di questa vicenda?
«È uno scontro abbastanza strumentale, ma anche l’occasione per una riflessione sulle condizioni di lavoro di magistrati e avvocati che hanno ruoli e responsabilità diversi ma tutti uniti per il miglior funzionamento della giustizia. È inutile dire che si trattava di una bozza di decisione o di un provvedimento precostituito: mi piace pensare che qualsiasi idea di massima che un giudice si è formato durante lo studio del fascicolo è certamente messa in discussione davanti a motivazioni valide e persuasive che, di volta in volta, il difensore di un imputato sottopone all’attenzione dei magistrati. Questo, però, implica l’esistenza di un dialogo leale che deve sempre animare il dualismo magistratura-avvocatura e per il quale vale la pena di lottare sempre».
Restano i problemi dell’appello…
«Il problema è la mole di lavoro per un sistema processuale che non consente risposte veloci. C’è un conflitto tra il sacrosanto diritto alla difesa e il tentativo di arginare la mole di atti di appello, problema che apre il tema delle prescrizione. Uno Stato democratico e civile non può permettersi, però, lungaggini che incidono sulla vita dei cittadini che vivono il processo come un dramma, specie se poi risultano esenti da responsabilità. Forse è giusto dire che l’inefficienza del sistema paga il prezzo della prescrizione dei reati perché, nel bilanciamento degli interessi contrapposti, deve prevalere la presunzione di innocenza che ha un tempo massimo davanti al quale il giudizio, se non definitivamente compiuto, deve cessare». La situazione del processo d’appello a Napoli e dintorni è particolare, magari a causa dell’enorme arretrato che grava sugli uffici o altre ragioni?
«La situazione è particolare perché c’è un notevole squilibrio tra i vari Tribunali italiani con riferimento al rapporto tra piante organiche e carichi di lavoro. Mi auguro che la Commissione appositamente istituita per la giustizia nel Sud (cosa che, per la verità, ancora mi offende come magistrato e come cittadino) si faccia carico di questo problema più che di imporre le buone pratiche del Nord, visto che anche qui al Sud ne abbiamo tantissime da esportare. Una giusta analisi delle piante organiche non è più rinviabile, specie con riferimento ai cosiddetti Tribunali minori che vivono continue sofferenze da questo punto di vista. Una vera riforma passa per un’analisi di questo genere, capace di portare un effettivo riequilibrio tra piante organiche dei Tribunali del Nord, del Centro e del Sud che oggi manca del tutto».
Il penalista Riccardo Polidoro ha denunciato la scarsa attenzione dei magistrati in udienza e la loro tendenza ad accettare troppi incarichi extragiudiziari: che cosa ne pensa?
«Ho letto l’articolo dell’avvocato Polidoro e ne ho colto l’amarezza, da una parte, e la speranza, dall’altra. Non credo che limitare la cosiddetta vita privata dei magistrati sia una giusta soluzione perché poi bisognerebbe capire bene che cosa si vuole intendere con l’espressione “incarico extragiudiziario”. Lo è, per esempio, una lezione all’università o la partecipazione a corsi di formazione organizzati dal Consiglio dell’Ordine o essere un giudice tributario o cos’altro? Portando all’estremo questa idea si potrebbe dire che dedicare due ore a una lezione universitaria equivale ad andare in piscina o giocare a tennis e, quindi, arrivare a una discussione con regresso all’infinito. La verità è che, se si tutela l’immagine e la indipendenza della magistratura in uno con l’efficienza della risposta giudiziaria, si può immaginare una più ampia libertà di scelta del magistrato il quale però deve ben sapere che, specie nel caso di svolgimento di attività extragiudiziarie, risponderà dei ritardi con sanzioni certe e inevitabili. La mia è una vera e propria proposta di revisione del rapporto tra il singolo magistrato e il Csm che è imbrigliato nella attività di autorizzazione di incarichi extragiudiziari con notevole dispendio di energie».
L’episodio della presunta sentenza “preconfezionata” ha spinto molti a gridare alla marginalizzazione del ruolo dell’avvocato, ormai ridotto a “passacarte”: è così?
«Non credo. L’ho detto e lo ripeto: l’avvocatura ha un ruolo importantissimo nel sistema della giustizia. Anzi, se dovessi fare un esempio plastico, la immagino come il motore o il cuore pulsante di quel sistema. Chi pensa di marginalizzare gli avvocati non ha ben chiara la forza che gli stessi hanno di muovere il processo e di determinarne le sorti. Perciò colgo l’occasione per dire che non sono contrario alla partecipazione della componente dell’avvocatura anche nelle valutazioni di professionalità dei giudici perché non credo che si debba temere una ritorsione di una parte contro l’altra se, come spero a, ognuno si comporta in modo leale e corretto».
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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.