Le ultime immagini di Tomaj Salehi lo ritraggono bendato, il volto tumefatto e in stato di detenzione mentre viene trasportato in un’autovettura. Il rapper è stato arrestato e trasferito alla prigione Dastgerd a Isfahan e quindi a quella di Evin, dove vengono ristretti i prigionieri politici. “Ci riprenderemo le strade, ogni giorno e ogni finche l’Iran non sarà libero” oppure “riusciremo a sollevarci dalla voragine in cui siamo precipitati e colpiremo il vertice della piramide”, le barre di una delle sue canzoni in cui denunciava il regime iraniano. Non aveva esitato un attimo a unirsi alle proteste esplose nel Paese dopo la morte di Mahsa Amini.

La 22enne originaria del Kurdistan iraniano si trovava in un parco di Teheran quando era stata fermata dalla polizia religiosa: indossava male il suo velo, lo hijab. È morta mentre era detenuta: secondo le autorità è morta tragicamente per un malore, la famiglia (ai domiciliari) ha denunciato violenze. Da allora l’Iran è a ferro e fuoco, morti e arresti e feriti nelle manifestazioni contro la polizia morale e il regime degli ayatollah. Per le autorità di Teheran le manifestazioni in corso sono “rivolte” fomentate dai nemici dell’Iran, Israele e Stati Uniti in primis.

Salehi “è nelle mani di funzionari dell’intelligence” e “non è autorizzato a chiamare o ricevere visite” ha raccontato lo zio Iqbal Iqbali. La famiglia del musicista era andata ieri a Dastgerg dove ha appreso del trasferimento del rapper al carcere dei prigionieri politici. Secondo lo zio Salehi “è ora in pericolo”. Come lui era stato arrestato un altro cantate voce delle proteste, Shervin Hajipour. A preoccupare è anche la video-confessione in cui Salehi si pente, bendato e in ginocchio. “Mi scuso con il popolo iraniano, ho sbagliato”, dice il musicista. Il video è stato diffuso da media affiliati al regime.

È partita così una campagna social in farsi, la lingua parlata da 77 milioni di persone in Medio Oriente, per non condividere quel contenuto, in quanto “lo scopo di queste immagini è creare paura e disperazione, non diffondetele”, ha twittato Hichkas, considerato il padre del rap persiano, che vive all’estero in una sorta di auto-esilio. Salehi era stato arrestato già l’anno scorso e rilasciato dopo pochi giorni su cauzione in seguito a una vasta campagna per la sua liberazione. Dall’esplosione delle proteste aveva deciso di nascondersi ma di non lasciare l’Iran. Comunicava tramite i social. I media ufficiali hanno riferito dell’arresto, lo scorso 30 ottobre, nella provincia di Chaharmahal Bakhtiari mentre “cercava di uscire illegalmente dai confini occidentali”.

Il procuratore di Isfahan, Seyyed Mohammad Mousaviyan, lo ha accusato di aver “svolto un ruolo chiave nel creare caos e incoraggiare i recenti disordini nella provincia di Isfahan e nella città di Shahinshahr”. La maggioranza dei rapper pubblica in Iran i suoi brani senza l’approvazione del ministero della Cultura e Guida Islamica, l’organo del regime che regola il lavoro artistico e applica la censura. I fan e i familiari di Salehi, che in Iran non si è mai esibito e poteva diffondere la sua musica solo grazie alle piattaforme online, intanto pregano per la sua vita. All’artista è stato proibito di incontrare chiunque.

Salehi è stata una delle voci delle proteste. Tra queste anche Shervin Hajipour, cantante di 25 anni che ha scritto Baraye, la canzone diventata un po’ l’inno delle proteste cantata nelle scuole e per le strade per denunciare la repressione del governo. Il testo è stato assemblato su Twitter dove i manifestanti esprimono il loro dissenso pubblicano frasi e slogan. In un’anafora che termina comincia sempre per baraye, che vuol dire “a causa di”, si ripetono i motivi dei manifestanti: “per ballare nei vicoli”, “per il terrore che si prova quando si da un bacio”, “per mia sorella”, e via dicendo. Il pezzo, che ha origine da un canto del Movimento delle donne curde recita: “Per le donne, la vita, la libertà”. La canzone è stata rimossa da internet ma continua a essere ripubblicata e ri-condivisa. Shervin Hajipour è stato rilasciato su cauzione. Dovrà subire un processo.

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