Asra Panahi si sarebbe rifiutata con alcune compagne di classe di cantare un inno-lode dedicato all’Ayatollah Ali Khamenei, la guida suprema della Repubblica Islamica dell’Iran. E per questo sarebbe stata picchiata, insieme con le altre studentesse, pestata fino alla morte in ospedale. La vicenda della 16enne che frequentava il liceo femminile Shahed ad Ardabil, la città capoluogo della Provincia omonima nell’Iran nord-occidentale, è stata riportata dal Consiglio di coordinamento delle associazioni di categoria degli insegnanti iraniani.

E arriva in un momento delicato per un Paese attraversato da proteste spesso sfociate in una repressione violenta. Da metà settembre si manifesta per la morte di Masha Amini, la 22enne morta in circostanze da chiarire mentre era in stato di fermo, arrestata dalla polizia morale in un parco di Teheran perché non indossava correttamente il velo, l’hijab, obbligatorio per le femmine a partire dai sette anni. Le proteste sono esplose nel Kurdistan iracheno, Regione d’origine della giovane, e si sono estese a tutto il Paese. Le autorità hanno detto, con tanto di autopsia ufficiale, che la ragazza è morta a causa di un tragico e fatale malore. La famiglia ha denunciato violenze.

Le proteste per la morte di Mahsa Amini si sono estese nelle ultime settimane anche alle scuole e alle università. Stando ai dati dell’organizzazione Iranian Human Rights il bilancio delle proteste esplose dopo la morte di Amini conta 215 vittime. Sono diventati virali in tutto il mondo i video di ragazze che si tagliano i capelli o che bruciano il velo in un gesto di solidarietà verso le proteste in Iran. La tragica vicenda della scuola ad Ardabil risale invece allo scorso 13 ottobre. Stando al sindacato dei professori le forze di sicurezza avrebbero fatto irruzione nell’istituto.

Sulla vicenda della 16enne circolano quindi versioni contrastanti. Le autorità hanno negato il pestaggio denunciato dagli insegnanti. Lo zio di Asra è comparso in televisione e ha riferito che la ragazza sarebbe morta a causa di una condizione cardiaca congenita. I dissidenti accusano le autorità di portare vittime e familiari delle vittime a ritirare le accuse e di costringerli a cambiare versione sulle vicende di cui sarebbero vittime. Dubbi sono stati sollevati anche sul “gesto storico”, com’era stato definito, della scalatrice Elnaz Rekabi che in Corea del Sud aveva gareggiato senza velo (obbligatorio per le donne che competono anche all’estero): dopo essere sparita per un frangente era riapparsa sui social network scusandosi e dicendo di aver dimenticato l’hijab negli attimi precedenti alla gara. Ad attenderla all’aeroporto a Teheran c’era tuttavia una folla di gente ad acclamarla come un’eroina.

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