L'ira di Cantone
Killeropoli, spy story all’Italiana: tutte le fughe di notizie finite sui giornali
Ormai quando una persona pensa alla Procura di Perugia la prima cosa che gli viene in mente sono le fughe di notizie.
Per non smentirsi, infatti, anche il fascicolo nei confronti del finanziere della Dna che ha effettuato gli accertamenti sul conto del ministro della Difesa Guido Crosetto, attualmente indagato per “accesso abusivo”, è finito sui giornali prima del tempo, costringendo l’altro giorno il procuratore Raffaele Cantone ad intervenire in tutta fretta “per alcune precisazioni e puntualizzazioni” con un comunicato stampa pur “nel doveroso rispetto del principio di segretezza delle indagini”.
Prima di questo episodio, l’estate scorsa, anche la richiesta di archiviazione del procedimento sulla Loggia Ungheria ed il contestuale stralcio, con conseguente iscrizione nel registro degli indagati di alcuni soggetti tirati in ballo dall’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara, era finito integralmente sui giornali che avevano poi riportato il nuovo capo di imputazione, basato su dichiarazioni testimoniali non ancora contestate, all’epoca predisposto per Luca Palamara. Le accuse nei confronti dell’ex numero uno dell’Anm, invece di rimanere segrete, potevano essere lette sul Corriere e su Repubblica con due articoli fotocopia.
All’epoca Cantone, dopo aver letto i due quotidiani, fece sapere di essere molto indignato, essendo la “vicenda di una gravità inaudita”. In pochi, infatti, avevano avuto la disponibilità del fascicolo: Cantone, i suoi due sostituti coassegnatari, i pm Gemma Miliani e Mario Formisano, e il gip del tribunale di Perugia.
La polizia giudiziaria, ad iniziare dal Gico della guardia di finanza che aveva curato le indagini, non aveva ricevuto ufficialmente alcun atto. Gli accertamenti per capire chi fosse stato a passare gli atti al Corriere e a Repubblica andarono comunque a buon fine e la talpa venne individuata nel cancelliere Raffaele Guadagno di cui da allora si sono però perse le tracce.
Ma come dimenticare, poi, la clamorosa fuga di notizie sul Palamaragate avvenuta a maggio del 2019? Anche all’epoca Corriere e Repubblica, in compagnia del Messaggero, pubblicarono ad indagini in corso stralci dei colloqui registrati con il trojan inserito nel cellulare di Palamara. I responsabili non furono mai individuati.
Palamara, a tal proposito, fece anche denuncia a Firenze, ufficio giudiziario competente per i reati eventualmente commessi dai colleghi umbri.
La giudice per le indagini preliminari di Firenze Sara Farini, con un provvedimento del 27 gennaio 2021, aveva scritto sul punto che “sussiste senza dubbio il fumus commissi delicti del reato in iscrizione, considerata la circostanza – non controversa alla luce della documentazione prodotta dal denunciante e dalla scansione temporale dei fatti riferita in querela – della pubblicazione su varie testate giornalistiche di notizie ancora coperte da segreto investigativo”.
“Appare dunque configurabile – aveva poi aggiunto – la fattispecie di cui all’art. 326 c.p.: vi è stata una condotta di illecita rivelazione di dette notizie da parte di un pubblico ufficiale, allo stato non identificato, che, avvalendosi illegittimamente di notizie non comunicabili in quanto coperte dal segreto investigativo, riferibili ad atti depositati presso la Procura della Repubblica di Perugia, le ha indebitamente propalate all’esterno”.
Sulle indagini poste in essere per scoprire gli autori della fuga di notizie, sempre la giudice Farini aveva però precisato che “ad oggi non risultano compiuti atti di indagine volti quantomeno a circoscrivere la platea di soggetti che possono essere venuti in contatto con le notizie segrete indebitamente propalate all’esterno della Procura della Repubblica di Perugia”.
Dulcis in fundo, l’inchiesta sull’esame farsa del calciatore della Juve Luis Suàrez per ottenere la cittadinanza italiana. Anche quella finita sui giornali prima del tempo. A causa di ciò Cantone decise lo stop a tempo indeterminato dell’indagine coordinata dai pubblici ministeri Paolo Abritti e Giampaolo Mocetti. Si trattò di una decisione senza precedenti nel panorama giudiziario italiano che, secondo il capo della Procura di Perugia, era necessaria proprio a causa delle ripetute violazioni del segreto istruttorio.
Anche all’epoca Cantone si disse “indignato per quanto successo finora”.
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