E' necessaria la scienza e la coscienza del farmacista
Killeropoli, tre riflessioni per non finire all’inferno cadendo dal pero
All’inizio del mese notoriamente con meno notizie, la stampa italiana, il 4 agosto, titola le prime pagine col solito clamore: “Macchina del Fango. La Repubblica dei dossieraggi” (Il Giornale), “La fabbrica dei ricatti” (La Repubblica), “Dossier riservati. Spiati oltre cento tra politici e VIP” (Corriere della Sera).
Non è mia abitudine commentare, da titoli e articoli stampa, indagini giudiziarie in corso. O che forse sono soltanto all’inizio. Se non per manifestare il mio rammarico per il continuo sbattere “il mostro” in prima pagina.
In questi giorni, “il mostro” sarebbe il luogotenente della Guardia di Finanza che avrebbe fatto diversi accessi alla banca dati delle Segnalazioni di operazioni sospette (Sos), il cui nome è stato già dato in pasto all’opinione pubblica. Contestualmente alla notizia della nuova sede ove è stato trasferito. Che io mi guardo bene dl ripetere. Perché è un “mostro” per il quale, assieme alla propria famiglia, vale la dovuta presunzione di non colpevolezza, che dovrebbe valere sempre per tutti. Anche nell’Italia giustizialista e del processo mediatico, che inizia sempre ben prima che un eventuale, e ipotetico, processo venga persino iniziato. In tale quadro, voglio quindi presumere, sino a prova contraria da dimostrare, che il sottufficiale non abbia fatto altro che il proprio dovere d’ufficio, quale ufficiale di Polizia giudiziaria a disposizione della DNA, la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, organo giudiziario con giurisdizione nazionale.
Poiché non faccio parte, non solo degli sciacalli mediatici, ma neppure dei numerosi caduti dal pero, dopo ogni colpo di venticello mediatico, sento il dovere di ripetere alcune considerazioni che i miei lettori sanno aver fatto in diverse occasioni su Il Riformista (vedasi ad esempio: Carabinieri Piacenza: è davvero un bene che il comandante generale provenga solo dall’interno dell’Arma?, 31luglio 2020 e Carabinieri Piacenza: troppi censori cadono dal pero, 2 agosto 2020).
La prima, è che non c’è dubbio che l’Italia disponga di uno dei migliori sistemi investigativi contro la criminalità organizzata, ed in particolare economico-finanziaria, sia in Europa che nel mondo. Perché dotata di strumenti legali ed operativi, quali le nostre forze di polizia (Guardia di Finanza in testa), e giudiziari (come la DNA), di assoluto rilievo, e che sono invidiati dagli altri Paesi europei. I quali dovrebbero prendere molti dei nostri esempi positivi. Perché, come noto, la criminalità organizzata ed economico-finanziaria non conosce frontiere. Ed è sempre più pericolosa dove ci sono meno strumenti per combatterla, perché le permettono di agire discretamente e sottotraccia.
La seconda, è che le nostre forze di polizia, da anni, hanno vertici composti tutti da generazioni di generali e dirigenti cresciuti e educati alla cultura della legalità e della lealtà costituzionale. E questa è una garanzia importantissima per il nostro Paese. Perché, quando si dispone di armi nucleari (come i poteri di cui dispongono le nostre forze di polizia, in confronto alle fionde utilizzate in altri Paesi europei), per difendere libertà e democrazia del Paese bisogna avere la certezza assoluta che tali strumenti siano sempre nelle mani giuste. Cioè di generali e dirigenti la cui fedeltà e lealtà democratica ed istituzionale, oltre che la professionalità e l’equilibrio, siano sempre assoluti, ed al di fuori di ogni minimo dubbio.
La terza, è che, nell’assuefazione generale, dopo 30 anni di giustizialismo manettaro e guardone della privacy altrui, in Italia non ci si rende conto che, col pretesto della lotta alla corruzione, all’evasione fiscale, alle mafie ed al terrorismo, la china verso uno stato di polizia può diventare, improvvisamente, molto ripida. Dimenticando che le strade che portano all’inferno sono spesso lastricate di buone intenzioni. Comprese quelle della tolleranza zero verso corruzione, evasione fiscale e mafie varie. Se si dimentica che l’invasività dei nostri sistemi investigativi, utilissima per combattere fenomeni criminosi odiosi, non può mai essere al di fuori di ogni autentico, serio e costante controllo democratico, oltre che di legalità. Che non può cioè limitarsi a quello di una magistratura che, per quanto riguarda quella inquirente, svolge in Italia quello che in altri Paesi è svoltao dalla polizia, e dall’esecutivo.
E per evitare questa china, è necessaria la scienza e la coscienza del farmacista. Capace di usare quel bilancino che, universalmente, è anche simbolo della giustizia. Che deve potere e saper dosare, non solo le pene alle responsabilità, ma anche tenere nel giusto equilibrio due gruppi di interessi egualmente fondamentali per i cittadini, a volte contrapposti. Quelli della sicurezza e della legalità, da un lato. E quelli del rispetto dei loro diritti fondamentali e inviolabili, dall’altro. Compresi il rispetto della privacy, incluse la riservatezza della corrispondenza e delle conversazioni private.
Come è vero che una Tac total body, dopo un semplice starnuto, potrebbe fare diagnosticare un insospettato tumore all’alluce, è anche vero che intercettazioni telefoniche e accessi ai dati riservati a strascico qualche reato, sicuramente, potrebbero permettere di accertarlo.
Ma è pure vero che, così come il medico, prima di prescriverla, valuta sempre l’utilità ed il costo-beneficio della Tac, tenendo conto anche del costo e dei rischi da raggi assorbiti dal paziente, sarebbe anche ora che la Politica (quella con la P maiuscola, ovviamente, non quella di tangentopoli o delle battaglie giustizialiste) e la Giustizia (quella con la G maiuscola, non quella del ”sistema” raccontato da Luca Palamara) facciano le stesse valutazioni, in scienza e coscienza, prima di consentire, la prima, ed autorizzare, la seconda, accertamenti così altamente invasivi per le libertà individuali dei cittadini. Come l’accesso alle banche dati che custodiscono ogni dettaglio della loro vita.
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