La partita che non si vede
La coalizione fantasma che può vincere le elezioni: la vera sfida è Meloni-Draghi
Non è vero che l’esito delle elezioni è scontato. L’esito è incerto. Il problema è che forse non è chiaro quali sono le due coalizioni che si fronteggiano. L’idea che l’alternativa sia tra la coalizione di centrodestra guidata da Giorgia Meloni e la coalizione di centrosinistra guidata da Enrico Letta è apparentemente ovvia, ma è assolutamente sbagliata. I capi del centrosinistra, come è logico, insistono molto sulla compattezza e pericolosità di un centrodestra controllato da una erede di Almirante.
L’arma migliore che hanno in una difficilissima campagna elettorale che li vede partire con uno svantaggio del 15 per cento è la paura della ondata reazionaria, o addirittura del fascismo. Sull’altro versante i partiti di centrodestra rivendicano la propria unità che contrappongono allo sfrangiamento della piccola alleanza che si è riunita attorno al Pd (Bonino, Di Maio, Fratoianni). E così non è ammesso guardare alla sostanza politica della battaglia che si è aperta dopo la liquidazione di Draghi. I sondaggi dicono che il centrodestra ha un vantaggio incolmabile. Magari un po’ esagerano, ma evidentemente sul risultato elettorale i dubbi non sono molti.
Il centrodestra guadagnerà almeno i due terzi dei collegi uninominali, per ragioni statistiche, e in questo modo i tre partiti del centrodestra si accaparreranno un numero di parlamentari superiore del 10 o del 15 per cento rispetto al numero dei parlamentari che avrebbero eletto con una legge proporzionale. Questo consentirà al centrodestra, anche con un risultato inferiore al 50 per cento, di avere la maggioranza assoluta in Parlamento. Ma non è una cosa ragionevole considerare il 55 o il 60 per cento dei parlamentari ottenuti dal centrodestra come un “blocco”. Saranno solo la somma dei parlamentari ottenuti dai singoli partiti della coalizione. Ciascuno dei quali partiti godrà del premio di maggioranza prodotto dagli uninominali, ma manterrà pienamente la propria autonomia politica. La legge elettorale non impone nessun vincolo di coalizione. Benissimo, a questo punto ci troveremo ragionevolmente dinanzi a un Parlamento dove la Meloni controllerà circa il 30 per cento dei parlamentari, Berlusconi un po’ più del 10 e Salvini un po’ più del 15.
Mentre il centrosinistra, il terzo polo, i Cinque stelle e, forse, l’estrema sinistra di Unione Popolare avranno a loro disposizione un numero di parlamentari inferiore ai rispettivi risultati elettorali. Il Pd, per esempio, se otterrà il 22/25 per cento dei voti, avrà un numero di deputati e senatori inferiore al 20 per cento. Non molto inferiore (perché comunque il Pd qualche collegio uninominale lo vincerà). Per i Cinque Stelle la riduzione sarà ancora più netta, perché non vincerà nessun uninominale, e quindi un eventuale 10/13 per cento di voti sarà tradotto, in termini di seggi, un po’ sotto al dieci.
Comunque in Parlamento si misureranno i singoli partiti, che – sciolto il patto elettorale che è stato realizzato solo per motivi tecnici: cioè per spazzolare più collegi uninominali possibile – avranno le mani libere. A quel punto si verificherà, con ogni probabilità (diciamo pure: certezza) che il centrosinistra non avrà nessuna possibilità di governare né da solo né con una eventuale e ormai innaturale alleanza coi 5 Stelle. Che il centrodestra invece avrà la possibilità di governare. E che poi esisterà anche un’altra maggioranza possibile, che è una maggioranza centrista (dalla Lega a Berlusconi, al terzo polo al centrosinistra) che probabilmente avrà la stessa consistenza elettorale del centrodestra (tra il 55 e il 60 per cento).
È in quel momento che si faranno le vere scelte. Le quali saranno nelle mani dei leader di partito che fanno parte di entrambi i possibili schieramenti (e quindi essenzialmente Berlusconi e Salvini) e in quelle del presidente della Repubblica, che non avrà una funzione secondaria. È possibile che l’ipotesi di centrodestra la spunti (ma non è certo) soprattutto se il risultato della Meloni sarà schiacciante. superiore al 25 per cento. Ma non è detto. Può spuntarla la maggioranza centrista, o si può anche immaginare una alternanza tra i due schieramenti.
Del primo schieramento esiste un solo leader possibile, ed è Giorgia Meloni. Nel secondo schieramento idem: il leader già pronto è Draghi, che gioca da fuoricampo questa campagna elettorale. Ma che non è affatto fuori dai giochi e che non è affatto legato al centrosinistra.
È una situazione curiosa. Non era mai successo. Una specie di “guerra asimmetrica” in cui uno dei due schieramenti è invisibile. Invisibile ma molto forte. Amato dall’establishment, amato dall’Europa e da Washington, amato dalla grande stampa… C’è poco da fare. la partita è quella: Meloni o Draghi? Ed è molto, molto incerta.
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