Il Pd mostra tutti i suoi limiti
La critica alla politica estera di Meloni è il più classico degli autogol-dem
Si può condividere o no la politica estera meloniana, ma è un dato di fatto che il progetto ambizioso del “Piano Mattei” ne delinea la spinta politica e la rottura con il recente piatto passato italiano
Fare opposizione è un mestiere difficile, e la sinistra da tempo ne è disabituata. Quella che Giorgia Meloni ha definito come le élite dal “vestito buono” all’idea di governare ci avevano fatto l’abitudine, e l’aver perso l’agognato potere li disturba non poco. Una volta fare l’opposizione era un’arte per il partito comunista che sapeva esercitarla con vari strumenti tra cui quello del “governo ombra”, l’ultimo dei quali fu varato nel 2008 dall’allora segretario democratico Walter Veltroni. Quindi il saper fare opposizione non è qualcosa che è andato rottamato con la “Svolta della Bolognina”, ma che con l’imbracatura del decennio di governo è entrata in crisi e si è persa.
Così dalla nascita dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, il partito democratico – che nel frattempo ha vissuto non pochi travagli interni – si è trovato a dover esercitare un ruolo nel quale non si cimentava da tempo. Fare l’opposizione al governo Meloni non è di per sé facile, non perché non ci siano punti critici, nessuno è infallibile, ma in quanto la forza comunicativa della Premier non ha trovato finora nessuno in grado di mettere in campo una dialettica politica né di pari livello, né superiore. Gli stessi limiti dialettici in chiave politica della segretaria democratica, con la sua oratoria artificiosa e in piena “inflazione” nell’uso di aggettivi, rendono difficile una penetrazione nell’opinione pubblica di quella che è, o dovrebbe essere, la visione alternativa al governo manifestata dal Pd.
Se dunque la premessa pone già la sinistra in una posizione estremamente critica nel confronto con la maggioranza, la tattica messa in campo nello scontro dentro e fuori dal parlamento mostra delle evidenti tendenze al suicidio politico. Attaccare, come ha fatto alla Camera dei Deputati il Pd (per bocca dell’on. Provenzano) il Presidente del Consiglio sulla politica estera, mostra tutti i limiti. Ed anche una certa ottusità ideologica della sinistra nell’accettare che se esiste un punto nel quale questo governo è inattaccabile, quella è la politica estera. Proprio per la centralità che nell’agenda della Premier ha il ruolo stesso della politica estera, che con Meloni è il primo strumento di politica interna. Un concetto che la Premier ha consapevolmente o inconsapevolmente mutuato da un suo grande predecessore, Alcide De Gasperi.
Se analizziamo l’operato del governo e della Premier dal 2022 ad oggi noteremmo come l’attivismo in politica estera esercitato oggi possa vantare pochi esempi eguali nella storia italiana, soprattutto negli ultimi anni. Non è un mistero che, eccezion fatta per l’autonomo e professionale operato di Marco Minniti, la politica estera non è stata mai tra le priorità dei governi di sinistra, percepita spesso come eccessivamente rischiosa. Una volta la vecchia politica italiana aveva sviluppato una definizione poi entrata di diritto nella storia politica del nostro paese, quella del “complesso di Adua”, di cui è stata affetta gran parte della classe politica italiana come quella della sinistra secondo-repubblicana.
Non ne è affetta di certo Giorgia Meloni, che oggi grazie ad una particolare contingenza storica si trova ad essere l’unico perno certo in Europa, e a guidare l’unico governo stabile tra i grandi paesi dell’Unione europea. Centralità accresciuta fuori dall’Europa con la vittoria di Donald Trump che pone Meloni come interlocutore diretto del neo Presidente degli Stati Uniti, di cui è nota la poca simpatia verso le istituzioni comunitarie. Se poi questa capacità di incidere passa anche dall’abilità di costruire relazioni di amicizia personale, o di stima reciproca come quella tanto romanzata con Elon Musk ci chiediamo dove sia il problema.
Se analizzassimo la storia delle relazioni internazionali scopriremmo che tante alleanze furono fondate e irrobustite dai buoni rapporti personali. Ma al netto della passione a targhe alterne che la sinistra ha per miliardari e magnati, permane l’elemento critico sull’impostare l’attacco a Meloni e al governo sulla politica estera, soprattutto all’indomani dell’uscita di “Politico” che incorona Giorgia Meloni come politico più influente in Europa. Ma la tattica non è uno dei migliori pezzi del repertorio messo in scena dal Nazareno. Cosi come l’attacco al ruolo di presidenza del G7 di cui “il mondo non si sarebbe accorto”.
Si può condividere o non condividere la politica estera meloniana, ma è un dato di fatto inconfutabile, con un progetto ambizioso come il “Piano Mattei” che ne delinea la spinta politica e la rottura con il recente passato italiano, caratterizzato da una politica estera piatta e ininfluente.
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