Lettera al Presidente della Repubblica
La detenzione è una cicatrice, ma spesso è lo Stato a ferire le persone
La visita del capo dello Stato Sergio Mattarella e della ministra della Giustizia Marta Cartabia a Nisida conferma l’impegno del Governo per un carcere finalmente allineato ai principi costituzionali e alle norme dell’ordinamento penitenziario. Nessun ministro ha mostrato, sin dal suo insediamento, tanto interesse per l’esecuzione penale. È tempo ora che dalle parole si passi a effettivi provvedimenti operativi, come dare esecuzione a quella riforma dell’ordinamento penitenziario pronta ma bloccata per interessi politici che nulla hanno a che fare con il bene della nazione.
Fatta questa premessa, le parole del presidente Mattarella ai ragazzi detenuti non possono essere lasciate senza una risposta e, pertanto, immaginiamo che almeno uno degli ospiti dell’“isola che non c’è” abbia avuto la forza di replicare. «La detenzione non dev’essere una macchia indelebile, ma una ferita che si rimargina. Non è impossibile reinserirsi con successo nella vita. Non sono cose che succedono solo nei film»: con queste parole Mattarella ha voluto invitare i giovani ad avere speranza e ha ribadito che la prospettiva del reinserimento «va garantita non a parole: non bastano le parole del Capo dello Stato, occorrono interventi, iniziative, scelte e fiducia sociale».
Signor presidente, in tutti questi anni di buone intenzioni ne abbiamo ascoltate poche e quasi mai a queste sono poi seguiti fatti concreti. Lei paragona i nostri errori a ferite, ma quante ferite i detenuti sopportano ogni giorno? Non ci riferiamo a noi che viviamo comunque una situazione privilegiata, ma all’intero mondo penitenziario dove vengono inferte “coltellate” a cittadini indifesi e privati ingiustamente dei loro diritti. Sono “tagli” che difficilmente si rimarginano e che lasciano cicatrici profonde e capaci di segnare il corpo e la mente per tutta la vita. Oggi la possibilità di reinserimento, per un detenuto, è inimmaginabile e davvero rappresenta la sceneggiatura di un bel film, mentre lo spettacolo che quotidianamente si replica dentro le mura, a volte, supera l’immaginazione di una pellicola dell’orrore.
Caro presidente, quanto accaduto recentemente nell’istituto di Rebibbia – dove una donna è stata lasciata sola a partorire, come se il “lieto evento” fosse imprevedibile – è qualcosa di raccapricciante e fa comprendere l’assoluto abbandono in cui vivono le carceri nel nostro Paese e come le persone detenute non siano altro che numeri, privi di fisicità, ai quali non va prestata alcuna attenzione. Far nascere un bambino in carcere, amato Presidente, rappresenta una ferita a morte per un Paese civile. Non vi possono essere scuse! È irrimediabilmente vergognoso! Come lo è consentire la presenza di bambini negli istituti di pena. Oggi ve ne sono 26 e 14 – dunque più della metà – sono “detenuti” in Campania. Eppure molti politici e anche ministri avevano assicurato “mai più bambini in carcere”. Sono passati anni, ma nulla è stato fatto.
Lei – e la ringraziamo – pensa che possiamo vedere rimarginate le nostre ferite, ma ciò non sarà possibile realmente se non vi sarà un intervento chirurgico complesso e di ampio respiro sul corpo straziato di una nazione in cui gli ultimi sono invisibili dentro e fuori il carcere. Condividiamo le sue parole: occorrono interventi, iniziative, scelte e fiducia sociale. Ma quando si comincia?
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