È finito nel peggiore dei modi, a “carte bollate”, il legame fra Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita. Dopo aver condiviso per anni tutte le scelte dell’ex idolo di Mani pulite, Ardita ha deciso ieri di costituirsi parte civile nel processo che vede Davigo, insieme al pm milanese Paolo Storari, imputato a Brescia con l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio per i verbali delle dichiarazioni di Piero Amara sulla loggia Ungheria.

I due magistrati erano stati nel 2015 tra i fondatori di Autonomia&indipendenza, la corrente nata dalla scissione da Magistratura indipendente, il gruppo di destra all’epoca guidato da Cosimo Ferri, ora deputato di Italia viva. Proprio la leadership di Ferri era stata fra i motivi della separazione. Il rapporto fra loro si consolidò nel 2017 allorquando scrissero insieme il libro Giustizialisti, così la politica lega le mani alla magistratura, edito da Paperfirst, la casa editrice del Fatto Quotidiano. L’anno successivo, poi, si candidarono al Consiglio superiore della magistratura, venendo eletti entrambi. Per Davigo si trattò di un plebiscito, dal momento che circa 2500 toghe indicarono il suo nome sulla scheda.

Tutto sembrava andare per il meglio fino allo scoppio del Palamaragate e delle indagini della Procura di Perugia. Interrogato dal procuratore Raffaele Cantone il 19 ottobre del 2020, il giorno stesso giorno in cui al Csm si stava discutendo della sua permanenza a Palazzo dei Marescialli anche dopo il compimento dei settanta anni, età massima per il trattenimento in servizio dei magistrati, Davigo esternò infatti grande imbarazzo nei confronti Ardita, raccontando particolari inediti del loro rapporto. Davigo disse che Ardita, volendo fare proselitismo a Roma, dove A&i era debole, in vista delle elezioni dell’Anm, aveva organizzato a marzo del 2019 un pranzo con l’ex pm Stefano Rocco Fava e un altro pm. Durante il pranzo si parlò di questione associative e “non posso escludere che si parlò delle problematiche dell’ufficio di Roma”. “Escludo categoricamente che il dottor Fava mi disse che voleva presentare un esposto contro Pignatone e Ielo. Ovviamente se mi avesse detto che intendeva presentare un esposto contro Ielo, me ne sarei ricordato, visto che conosco quest’ultimo da anni”, precisò Davigo.

“Ha parlato con Ardita dell’esposto presentato da Fava contro Pignatone?”, aggiunse Cantone. “Ho parlato con Ardita dell’esposto contro Ielo e non contro Pignatone una volta uscite le intercettazioni”, rispose Davigo per poi aggiungere: “Siccome lo avevo visto agitato dopo la pubblicazione delle intercettazioni, gli chiesi di indicarmi se aveva avuto un ruolo nel gestire tale esposto. Lui mi disse che il suo ruolo era stato istituzionale”. “Perché Ardita era preoccupato?”, chiese allora Cantone “Io non posso spiegare interamente la vicenda, in quanto coperta da segreto d’ufficio”, rispose secco Davigo. E ancora Cantone: “Il dottor Ardita esternò le ragioni delle sue preoccupazioni?” Davigo: “Questa è la parte coperta da segreto d’ufficio su cui non posso rispondere”. Per poi sparare il colpo: “Si tratta della ragione per cui non parlo più con il consigliere Ardita dal marzo del 2020. Non mi spiegavo le ragioni delle sue preoccupazioni in quanto ho sempre pensato ‘male non fare, paura non avere’”.

A cosa si riferiva Davigo? Quale segreto non poteva essere rivelato e ha costretto l’ex pm di Mani pulite a togliere il saluto ad Ardita? Per avere la risposta bisognerà aspettare qualche mese, quando diventeranno di dominio pubblico i verbali di Amara che aveva rivelato ai magistrati milanesi l’esistenza della loggia Ungheria. Verbali consegnati da Storari, che aveva interrogato Amara, a Davigo proprio a marzo del 2020. E chi avrebbe fatto parte di questa loggia paramassoniaca? Ardita. Davigo iniziò a far girare al Csm questi verbali. Il contenuto venne portato a conoscenza del vice presidente del Csm David Ermini, di diversi togati, del procuratore generale Giovanni Salvi. Un comportamento che ha fatto andare su tutte le furie Ardita.

“È evidente che qualunque cittadino ha il diritto che il proprio nome non venga fatto oggetto di divulgazione pubblica di notizie relative a una indagine finché quella indagine non trovi discovery e conclusione – ha detto il legale di Ardita -. Nel caso di specie, senza le condotte illecite compiute dai due imputati Ardita non avrebbe subìto la massiva infamante divulgazione di quelle informazioni riservate. E il fatto che Amara avesse indicato Ardita quale componente della presunta loggia Ungheria sarebbe diventato di pubblica conoscibilità solo al momento in cui i magistrati avessero attestato l’infondatezza di quelle dichiarazioni e avessero proceduto per calunnia a carico di Amara”.