Questo è un primo articolo sulla cattiveria umana osservata dal punto di vista politico. Gli economisti si sono finalmente trovati abbastanza d’accordo sul fatto che far scomparire la povertà dalla Terra è, fra l’altro, un ottimo affare. Una di quelle cose che gli americani chiamano “Win-Win”, vinci tu che vinco anche io, vincono tutti. Per molto tempo la soluzione tentata era stata quella di far sparire materialmente i poveri, ma non ha mai funzionato per quanti forni e camini fumassero e fosse comuni si riempissero come le astanterie e le camere mortuarie. Ciò è promettente.

Anche il fulminante presidente del Consiglio Draghi l’ha detto recentemente, da economista: «Far sparire la povertà è un eccellente affare perché stabilizza le società e attiva non solo le coscienze, ma anche i mercati». Ho citato più volte in passato il giovanissimo e tisico (morì a vent’anni) filosofo illuminista napoletano Gaetano Filangieri il quale premette su Benjamin Franklin affinché il nuovo grande Stato rivoluzionario – gli Stati Uniti d’America – adottassero fra i loro principi irrinunciabili il diritto a cercare ciascuno la propria dedicata dose di felicità, “The Pursuit of Happiness”, che non vuol dire il diritto alla felicità. Che non significa nulla, ma il diritto a cercare col proprio lanternino la propria piccola personale felicità. Sembra nulla, ma è tutto. Gli esseri umani come noi – Sapiens, non più clava ma bancomat – sono in giro da pochi minuti geologici: centomila anni. In questi centomila anni hanno prevalso gli impulsi e il tentativo di organizzarli in collettività oppure di predare i risultati degli impulsi altrui. Da pochi secondi appena, siamo su una strada nuova e si comincia a chiedere seriamente che cosa siano la cattiveria e la bontà, lasciando da parte Francesco che è sicuro che circoli Satanasso in persona che abbiamo sempre sognato di intervistare. Prima osservazione.

La cattiveria e la bontà umane vanno d’accordo con la meteorologia. La politica anche: ieri notte si è diffusa la catastrofica notizia di una nuova variante – che merita il nome di mutazione del maledetto Covid – ed è un’altra bestiaccia. Per cui di colpo è crollato il prezzo del petrolio grezzo nella previsione di un arresto planetario della produzione industriale e una serie di studi di mosse e contromosse per arginare popolazioni affamate, popolazioni terrorizzate e sempre alla ricerca di un capro espiatorio. Questa la parola chiave: capro espiatorio. Se qualcosa di male accade, di qualcun altro deve esserci una colpa. Idea: uccidiamolo fra atroci torture. morti viventi e i viventi che potrebbero morire, come accadde con la prima grande peste del XIV Secolo descritta da Giovanni Boccaccio che cambiò lo stato del mondo, del bene e del male, dell’economia, della poesia, della politica, della letteratura, del commercio, della grandezza dei fiumi.

Che cosa era successo? Una sciocchezza: era finito il mezzo millennio di surriscaldamento del pianeta che aveva liquefatto tutti i ghiacci e ghiacciai e iceberg, era tornato il freddo, anzi il gelo, il grano moriva, le bestie morivano e un terzo dell’umanità morì di fame e di peste che derivava dal non smaltibile accumulo di cadaveri e carogne in tutto il mondo. Avvenne quasi di colpo: con Dante, andava ancora bene. Con Boccaccio, arrivo del morbo, fine della già dimenticata felicità, la fine del paradiso terrestre del mondo caldo, caldissimo, molto più caldo di oggi, quando si coltivavano uve rarissime vicino al Polo Nord e le popolazioni dei ghiacci, come nel Trono di Spade, non trovandosi più davanti al naso muri di ghiaccio e orsi affamati, poterono finalmente scendere a vele spiegate sull’Islanda, la Groenlandia, e poi sulle isole inglesi in cui – come racconta drammaticamente Winston Churchill nel primo volume della sua Storia dei Popoli di Lingua Inglese, non rimase traccia di una sola parola di latino, fu spazzato via tutto ciò che era appartenuto all’antica preda del console Britannicus quando ancora “Britannia” non comandava sulle onde e sui popoli.

Era un mondo che moriva, e non c’erano i dinosauri. C’erano i cristiani, c’erano i musulmani, gli ebrei, i pagani e forme di società tribali sanguinarie. Cambiò la cattiveria, la distruttività, la capacità di progettare anche se i nuovi venuti dal nord furono chiamati Normanni e fecero castelli bellissimi e Federico II talmente s’appassionò al gioco di creare una lingua italiana artificiale e per poco non ci riuscì con un gruppo di poeti pazzi come Ciullo d’Alcamo.
Rischio: quello che i lettori, specialmente quelli con uno zainetto politico omologato da portare come una seconda parte di sé, potrebbero obiettare che qui si raccontano favole, per favore parliamo di cose serie. Basta partire da due date facili: dall’incoronazione di Carlo Magno nella notte di Natale dell’800, alla morte di Dante, visto che siamo di settecentenario, 1321. Mezzo migliaio di anni. Che accadde? Un caldo da far paura, altro che l’ultima estate. Dove correvano tutti quei pinguini? Come mai i vichinghi si erano piazzati nella lussureggiante Terra Verde, la Green Land o Groenlandia e facevano legna per le flotte con cui traversavano un braccio di mare abbastanza corto e si insediavano in Canada?

E poi, con Dante, come sanno gli scolari, vennero Petrarca e Boccaccio. Boccaccio ci interessa, per la peste. Lasciando da parte il Decamerone – un Netflix animato in una lontana cascina per proteggersi in quarantena contro la peste, e godersi gioie proibite – Boccaccio fu anche un eccellente cronista. Mi è capitato di leggere in inglese la relazione di Boccaccio sull’arrivo a Messina di navi provenienti dall’Oriente e che portavano con i topi e le pulci la peste nera che si abbatté rapidamente sull’umanità eliminandone un terzo e cambiandone per sempre tutti gli aspetti civili, religiosi, politici, letterari. La peste arrivò in seguito – non scriviamo “a causa” – di un evento climatico: la Terra, il nostro grazioso pianetino blu passato alla svelta dal caldo al freddo. Arrivò una piccola micidiale glaciazione. Le meravigliose terre ai confini del polo che davano i vini più dolci e la Groenlandia che era piena di paesini di pietra, chiese di pietra e grandi montoni che rifornivano di pelle tutta Europa, si congelò nell’orrore universale. Un papa finanziò una spedizione per andare a indagare perché i cari fratelli di Groenlandia non dessero più notizie: «Sono tutti morti congelati nelle loro case e chiese, con le bestie senza trovare la forza di saltare su una barca e tentare la fuga». «Preghiamo rispose il papa, affinché il maledetto ghiaccio liberi le nostre terre amate e i cristiani che le abitavano». Poi passano i secoli e compaiono titoli brutali: «Si sta fondendo il ghiaccio della Groenlandia e di tutte le terre che fanno da ponte fra America ed Europa: è un disastro». Alla piccola Greta, sempre più pop, cercando finché possono di tenerle nascosto l’evento.

Secondo punto. Compratevi se già non l’avete letto Il Capro espiatorio di René Girard, in Italia presso Adelphi, sul telefonino a sette euro, che è un testo sconvolgente in cui si radunano tutte le notizie, vere o fantastiche ma di numerosi autori fra loro ignoti che narrano come l’umanità fosse traumatizzata dalle epidemie che provocarono quarantene e lockdown talvolta ispirati alla segregazione razziale anche perché – come ti sbagli – a fare le spese della peste e del vaiolo, erano sempre gli ebrei accusati di avvelenare pozzi e fiumi con miscele torbide e putride e venefiche loro fornite da gruppi di cristiani loro complici. Molte delle notizie che oggi circolano sul grande complotto dietro il Covid sono del tutto simili, anche se oggi la parola “Ebrei” è stata parzialmente sostituita da “Multinazionali” che ne sono in parte l’up-grade. Ma non perdiamo di vista il filo conduttore: la temperatura. Secondo filo: la fragile e mostruosa capacità umana di dedicarsi alla distruzione dei suoi simili.

Detto di passaggio ma mica tanto, quando andai in Africa alle radici della nascita del mercato che trasferì in America milioni di africani venduti ai mercanti francesi, inglesi, spagnoli e olandesi, appresi che c’erano dei trafficanti portoghesi che acquistavano nell’Africa lusitana popoli interi di tribù prigioniere di re africani, i cui componenti sarebbero stati messi a morte secondo una cerimonia rituale. Lo stesso facevano i romani quando trascinavano intere popolazioni sotto di loro. Archi di trionfo per poi rifornire i denti del parco belve del Colosseo o risolvere il problema dell’illuminazione notturna delle strade consolari con torce umane impiastrate di grasso e dunque di lunga durata. L’uso del fuoco per uccidere con lentezza da bagnacauda, era estremamente popolare ed ammirato: il cronista che descrisse l’agonia di Giordano Bruno tra le fascine di Campo de’ Fiori scrisse che “il corpo era grasso ed ardeva allegramente”. Quando Thomas More, il celebrato Tommaso Moro amico di Erasmo da Rotterdam che per lui scrisse l’Encomion Moriai, maltradotto come “Elogio della pazzia” mentre si trattava di gioco di parole per alludere all’elogio di Moro (“Moriae”), bene: lo stesso Thomas, ancora al solerte servizio del suo re Enrico VIII prima che quello si incaponisse con Anna Bolena, provvedeva personalmente a caricare di legna i cestoni di ferro in cui venivano cotti gli eretici i quali si vedevano negare o favorire una morte più veloce implorando: “Più legna, sir Thomas, più legna, in nome di Dio, stiamo soffrendo troppo”.

Tornando in America, il cerino in mano di nazione schiavista è rimasto agli Stati Uniti che, in quanto nazione libera, non acquistò più schiavi ai mercati arabi e africani (salvo alcune imprese di pirateria di sottocosta) mentre le nazioni che introdussero e alimentarono fino alla fine lo schiavismo in America furono prima di tutto i portoghesi, poi gli spagnoli, poi a pari merito francesi e inglesi. Le tredici colonie americane avevano una dotazione di personale servile (schiavi) per usi agricoli che i land-owner di Dixieland (i futuri Stati Confederati della guerra civile americana) erano convinti di trattare con eccellente welfare. visto che davano loro tetto, lavoro, cibo, medicine e – negli Stati più avanzati – l’accesso ad alcune chiese cristiane – ancora oggi a prevalenza nera come gli Episcopali – con tutela delle unità familiari e la protezione delle donne dal diritto padronale di stupro.

(1 – continua)

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.