Quanto siamo vicini alla concreta l’ipotesi di una guerra nucleare come sviluppo dell’invasione russa in Ucraina? Dopo aver tutto letto, decifrato, la risposta è una sola: dipende da quel che deciderà Vladimir Putin e lui soltanto. È molto popolare in questi giorni una letteratura che definisce Putin impazzito, gravemente malato, paranoico e sotto attacco interno, sottoposto a minacce di colpo di Stato e di fatto fuori controllo. Nessuno di questi gossip ha altro fondamento di realtà se non la ricerca spasmodica di una previsione sulle sue decisioni. Ma il mondo aspetta di sapere una sola cosa. Quella prioritaria: è pronto ad usare armi non convenzionali – non soltanto atomiche ma anche chimiche e biologiche -?

Ogni capitale e ogni agenzia di intelligence vanta degli esperti o dei fuggiaschi che dicono di conoscere lo stato delle cose, ma per ora l’unica cosa certa è ciò che il presidente russo dice. Poiché, come i lettori del Riformista sanno fino alla noia, seguo il suo sito YouTube da molti anni, ho imparato in questo tempo che Putin pensa quello che dice e fa quello che pensa. Non è qui il caso di ripetere la sua visione del mondo diviso in due blocchi, l’Occidente da una parte e dall’altra una coalizione formata da Russia, Cina, India, Pakistan, Siria con il sostegno sempre più forte di Brasile, Sudafrica e gli stati africani di fatto sottomessi alla Cina. Putin è apparentemente furioso con l’Occidente che sostiene militarmente l’Ucraina che resiste con le vite dei propri cittadini in armi e le armi degli Stati occidentali che hanno deciso di resistere a Putin, in particolare Stati Uniti e Regno Unito.

Putin è e resta l’origine delle decisioni, e oggi rappresenta in maniera molto minacciosa lo Zeitgeist da cui dipenderà il corso della sua avventura militare. Nota a margine: i russi vedono in televisione più o meno gli stessi filmati che vediamo noi, ma presentati al contrario: ogni strage, distruzione, malvagità, è attribuita agli ucraini che – per il pubblico russo indignato e sdegnato – compiono ogni sorta di crudele malvagità contro i russofoni del Donbass e questa lettura della storia e anche dei fatti quotidiani costituisce in Russia la legittimazione dell’azione militare e delle stragi di civili, attribuite tutte alla perfidia ucraina. In Lettonia in particolare – riferiva un servizio della Cnn – è diventato di moda comprare le parabole per vedere la televisione russa e godere lo spettacolare capovolgimento di valori di verità di tutte le notizie che il resto del mondo, dal Brasile alla Norvegia, da Al-Jazeera alla Bbc, dalla Romania (che diffonde filmati di un crudele realismo) vede come le vediamo noi. Di conseguenza è possibile – benché non verificabile – che esista un consenso comunque molto alto a favore dell’invasione e anche una diffusa voglia di vincere e di schiacciare sia il male, rappresentato dalla resistenza ucraina, sia di castigare l’ignobile Occidente guerrafondaio guidato dai soliti Stati Uniti che, per motivi incomprensibili fuori del perimetro italiano, avrebbero interesse a fomentare e rendere permanente il pantano di sangue in cui la nazione ucraina affonda con i suoi difensori ostinatamente disposti a morire ma non a cedere alla violenza. Questo antagonismo di visioni della realtà e della verità è alla base della possibilità di rispondere alla domanda sul tremendo passaggio alle armi nucleari.

La dottrina Putin, rintracciabile da chiunque attraverso le chiare parole del presidente russo, si può così riassumere: la Russia – e non l’Unione Sovietica – è stata tradita nel passato dalla sciagurata teoria secondo cui non si sarebbero dovute usare ami nucleari per evitare la reciprocità della distruzione senza vincitori né vinti. Questa teoria, secondo Putin, ha paralizzato la capacità di combattere dell’Urss facendola assoggettare alla logica del disarmo da cui ha tratto vantaggio soltanto l’America e l’Europa sua alleata. Bisogna rovesciare questo paradigma, dice Putin, creando una gamma di armi nuove e flessibili con vettori nuovissimi e imprendibili. E lo ha fatto. E li ha mostrati prima sulla Piazza Rossa e poi durate l’esibizione nel grande show room delle esercitazioni in Bielorussia che hanno preceduto l’invasione dell’Ucraina. Tutto sotto gli occhi di tutti, che però erano occhi poco allarmati. Solo i militari americani di radice democrat si sono allarmati, ma la posizione repubblicana di Donald Trump era favorevole an un riarmo convenzionale che garantisse l’isolamento degli Stati Uniti dal resto del mondo.

Putin oggi si trova, come tutti vediamo, in una situazione militare molto difficile in cui per vincere la guerra dovrà come minimo affrontare una lunghissima fase di logoramento in attesa che l’ultimo ucraino muoia o si arrenda dopo aver finito le armi portate da inglesi e americani, ma che non sono sufficienti a sopravvivere per sempre. L’altra possibilità che ha il presidente russo è quella di passare all’up-grade successivo: armi non convenzionali, forse chimiche, forse atomiche. Ne ha dato la prova facendo uso dell’arma che in questo momento rende l’arsenale russo superiore a quello della Nato e degli Stati Uniti: i missili ipersonici imprendibili e capaci di recapitare i loro frutti mortali in qualsiasi luogo del pianeta senza subire rappresaglie efficaci. Questa superiorità ha fatto andare in tilt i servizi segreti minutari di tutto il mondo occidentale e in particolare quelli americani, specialmente quelli della Navy, con la conseguenza invisibile ma reale di una separazione delle priorità: in questo momento gli Usa stanno facendo sforzi enormi per recuperare il gap tecnologico e si dice che sia questione di mesi, forse di settimane, anche se è impossibile averne una conferma.

Ma in questo momento esiste una vera superiorità strategica russa che potrebbe teoricamente consigliare a Putin sia di far uso discreto, quasi simbolico, di una bomba tattica – si parla di una esplosione in mare che possa produrre più terrore che danno per produrre l’effetto resa – ma nulla vieta che il presidente russo, profondamente irritato dall’Occidente sia americano che europeo, possa cedere alla tentazione del First Strike, il primo colpo che annichilisce con una violenza totale l’avversario sia europeo che americano. Sarebbe una soluzione catastrofica mostruosa le cui conseguenze sono incalcolabili, ma che tuttavia tutti gli stati maggiori e le agenzie di intelligence tentano di calcolare. Una sola cosa è certa: Putin è l’uomo che deciderà quale tattica e quale gradualità adottare sia per spazzare via l’entità ucraina contro la quale la propaganda seguita a creare ed eccitare odio nell’opinione pubblica russa, sia per castigare i Paesi europei come il nostro che hanno ricevuto un avvertimento personalizzato, in una partita in cui è impossibile per chi non abbia informazioni complete prevedere come andrà a finire. C’è da considerare la deadline del 9 maggio, data in cui Putin ha promesso di chiudere la guerra con una vittoria, essendo il 9 maggio l’anniversario della vittoria nella Grande Guerra Patriottica nel 1945.

Mancano tre settimane e sono proprio le tre settimane che gli Stati Uniti hanno considerato indispensabili per produrre armi capaci di contrastare i missili ipersonici e rimettere le condizioni in parità. Soltanto la fine del conflitto attraverso un armistizio potrebbe sottrarre il mondo dalla possibilità della catastrofe, ma per ora Putin non considera maturi i tempi per un cessate il fuoco, che è disposto a concedere, ha dichiarato più volte, soltanto dopo che tutti i suoi obiettivi saranno raggiunti. Il che è impossibile, e dunque l’atroce dilemma resta aperto. È un dato di fatto ovvio che questa incertezza generi in Occidente una gamma di reazioni di pari pericolosità, perché il Dottor Stranamore è sempre in agguato con la tentazione di giocare il tutto per tutto. Un ultimo elemento accresce l’inquietudine: il dubbio sussurrato da molte voci interne alla Russia secondo cui Putin stesso non conosca lo stato reale delle cose, che gli arriverebbe manipolato, come è accaduto all’inizio delle operazioni militari. Se davvero Putin fosse tagliato fuori dalla realtà, potremmo soltanto imbottirci di tranquillanti e sonniferi e sperare di svegliarci quando tutto in un modo o nell’altro sarò finito.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.