Per onestà per chi legge, provo ad anticipare il sommario di questo articolo figlio di tutte le letture delle fonti “aperte” e di qualche conversazione. Io, diversamente dal Direttore del Riformista – che ringrazio per consentirmi di esprimere anche i miei dissensi – non sono un pacifista, ma soltanto un uomo pacifico. Ho trovato sempre divertente quel che diceva il presidente americano Teddy Roosevelt, zio del più famoso Franklin, il quale riassumeva la sua posizione rispetto alla questione della pace e della guerra con queste parole: «Sorridi, parla a bassa voce, ma impugna sempre un nodoso bastone».

Da tempo tutti hanno alzato la voce e agitano bastoni, ma ciò avviene secondo una logica che cercherò di spiegare affinché possa essere utile. Il mio strumento di analisi più semplice, alla portata di tutti e che non sbaglia un colpo è la persona di Putin, il quale fa pubblicare su YouTube tutti i suoi incontri con ogni genere di personaggi russi e stranieri, sottotitolati in inglese (mi sono messo in fretta e furia a studiare russo, ma non penso di fare in tempo). Putin ha un pregio che difficilmente gli italiani possono apprezzare: pensa quel che dice, e fa quel che pensa. Basta ascoltarlo. E leggerlo. È un uomo dalla mente scaltrissima e sa anche maneggiare due strumenti di geopolitica fra loro connessi, come la storia e la memoria. A proposito della Seconda guerra mondiale ad esempio, Putin – lo potete rivedere su Internet – spiegò quale sarebbe stata la versione ufficiale d’ora in avanti e fu questa: Stalin ordinò all’Armata Rossa di entrare in Polonia un paio di settimane dopo l’invasione nazista, «per proteggere le minoranze etniche dopo la fuga del legittimo governo di Varsavia».

È una lunga e delicata faccenda sulla quale sto scrivendo un testo più completo di quelli esistenti, ma il punto non è quel che fece Stalin, quanto ciò che ha appena fatto Putin tre anni fa: una legge che ordina quale sia la verità storica, in funzione del suo piano che si sta sviluppando dal 2008 e che non ricapitoliamo qui e oggi per non rubare troppo spazio. Putin disse e scrisse che l’Unione Sovietica è una potenza planetaria (il che non è vero se non per alcuni armamenti) con il diritto storico di rivendicare tutti i territori che nei secoli sono appartenuti alla Madre Russia, e dunque l’ex Granducato di Varsavia. E le Repubbliche Baltiche con l’enclave di Kaliningrad che era la tedesca Koenigsberg di Immanuel Kant dove fu scritta la Critica della Ragion Pura. Da notare che Putin ha certamente uno spessore culturale europeo che gli permette di presentarsi al Bundestag di Berlino e pronunciare una applaudita orazione in un tedesco solido e letterario in cui ricordava l’importanza di Kant, di Goethe e di Schiller. Qui andrebbe inserito un capitolo che non sono in grado di scrivere intitolato “Perché Putin ha cambiato idea sull’identità europea”.

Dunque, rimandiamo e torniamo all’oggi. E precisamente a un mese prima dell’invasione dell’Ucraina quando Putin allestì sul territorio bielorusso della sua marionetta Lukashenko, una vera “showroom” di tutti i suoi gioielli militari. E qui siamo al punto. Furono mostrati agli occidentali nuovissime tecnologie satellitari, missili di lancio, sistemi d’arma in campi in cui l’Occidente è rimasto indietro per anni e per Occidente intendiamo prima di tutto gli Stati Uniti, benché il Regno Unito abbia fatto grandi progressi da solo. E così arriviamo alle nuovi armi russe che sono state solo mostrate e quelle che sono state anche usate in Ucraina sul campo di battaglia. La più importante è il missile ipersonico di cui sono stati usati pochi esemplari perché la produzione di queste armi è ancora in fase inziale e secondo gli americani si tratterebbe di prototipi. Io non me ne intendo ma il punto è che queste armi non hanno ancora l’equivalente in Occidente: viaggiano a una velocità che sfugge a ogni sistema di contraerea, possono colpire ogni luogo del pianeta Terra e possono essere caricate con esplosivo, oppure con testata atomica o con una carica che sottrae ossigeno in un raggio di chilometri provocando la morte di ogni essere vivente, un po’ come la vagheggiata bomba “N” americana che poi non si fece. Questo uso del missile ipersonico ha scioccato i comandi militari occidentali per due motivi: primo, americani inglesi e francesi non hanno vettori così veloci, anche se prima o poi recupereranno.

Secondo, Putin ha mostrato sul campo la sua intenzione di usarli e li ha usati. Nel campo degli armamenti esiste una sorta di galateo: se tu mostri un’arma che gli altri non hanno, provocherai una reazione immediata per procurarsi la stessa arma o una adatta a neutralizzarla. Questo è il lavoro dell’intelligence. Nel caso di Putin, le armi sono state mostrate sulla pubblica piazza dell’immenso territorio bielorusso, subito prima la sciagurata e per ora fallimentare invasione dell’Ucraina, a scopo didattico e per raccogliere dei risultati. Ma usando nuove armi di cui l’Occidente non dispone, il Presidente russo ha scelto di dimostrare l’intenzione di compiere una mossa irreversibile: le armi usate sono vettori per una gran quantità di atomiche cosiddette “tattiche” non meno rovinose di quella di Hiroshima. La filosofia militare del presidente russo – così come lui l’ha enunciata ed è visibile a tutti, è la seguente: per decenni l’Occidente ci ha terrorizzato col terrore nucleare. Le armi nucleari sono armi come tutte le altre e quindi è ovvio che se ci fosse una guerra noi saremmo pronti a usarle.

Quando lo ha detto, si trovava di fronte a un certo numero di giornalisti, veri o travestiti da cronisti un po’ arruffati, uno dei quali disse. «Ma se lei dice che userà armi nucleari, anche i nemici della Russia faranno lo stesso». La risposta del presidente russo fu indimenticabile. Sorrise in modo ironico, allargò le braccia e disse. «Che volete che vi dica? Andremo tutti in paradiso». Il messaggio era: non risponderemo più alla logica del reciproco annientamento che ci ha paralizzato finora. Del resto, il Presidente russo ha dato prova di macabro realismo quando si è trattato di far spianare Grozny in Cecenia, o Aleppo in Siria e poi Mariupol. I recenti massacri probabilmente significano soltanto che i comandanti russi non hanno l’ordine di trattenere le esplosioni di violenza della truppe nei confronti dei civili. Questo disprezzo per le regole fondamentali anche in guerra fu una delle armi usate da Stalin per far precedere il terrore dell’arrivo dell’Armata Rossa in Germania. I tedeschi ne hanno fatto lo stesso uso. E anche gli italiani nelle guerre d’Africa.

Gli inglesi e gli americani (e i francesi delle grandi colonie) si sono auto frenati per l’impossibilità di imbavagliare totalmente la stampa e la comunicazione, cosa che invece in Russia riesce bene per tradizione secolare. Il controllo dei media è geopolitico. Il terrore è geopolitico (teorizzato da Robespierre, Lenin e Stalin per il quale una singola morte era una grade tragedia, un milione di morti un evento statistico). Dunque, tutti gli atti di terrore sono geopolitica, le scelte che i Paesi fanno rispondendo agli atti di terrore, sono geopolitica. L’eroismo dell’intero popolo ucraino è geopolitico come lo è la disperata separazione degli amanti e delle famiglie per poter fronteggiare l’aggressione: tutto è geopolitica e ogni pezzo viene accuratamente esaminato e calcolato in questa fase di guerra per quel che vale nella guerra. Ma la gente non lo sa e viene dirottata in diverse processioni. E qui si arriva al punto centrale: che genere di guerra è quella in cui la parte che ha deciso di cominciare, la Russia, ha già da tempo e con cura calcolato possibili vantaggi e rischi possibili e che alla fine ha deciso di correre fino in fondo tutti i rischi compreso quello della fine del mondo?

È la stessa parte che ha già sfidato l’uso delle armi proibite (non solo i missili ipersonici ma le bombe a grappolo) usandole per ora con materiali che non rientrano ancora nell’ABC (atomiche batteriologiche e chimiche) ma mostrando sia l’intenzione che la capacità di farlo. L’Occidente è dunque per ora sotto una pressione militare cui non era abituato, perché è sotto scacco. Ma il Presidente russo ha ritenuto forse proprio per questo vantaggio, che fosse ora o mai più il momento di arrivare alla resa dei conti lo sta facendo. In un tale progetto il rischio dell’escalation fuori controllo fino all’impiego di armi nucleari strategiche con gli Stati Uniti è calcolato – chissà in che modo visti i disastri dell’intelligence russa in Ucraina e dunque sappiamo anche che tutte le trattative, i ritiri, i riposizionamenti, gli incontri avviati e interrotti, le sostituzioni di uomini e materiali, sono per lo più fumo negli occhi. I russi vogliono l’Ucraina. È quasi sicuro che l’avranno ad ogni costo e prezzo, compreso quello di avvitarsi in una guerra con armi atomiche. Quello non sarà il punto di non ritorno, ma il momento della scelta: esistenziale. Vivere o morire.

Fermo questo punto, le possibili reazioni dell’Occidente possono essere solo due. La prima è quella di dire: caro Putin, fai un po’ quel che ti pare nelle tue lande, noi ce ne possiamo infischiare ma non ci coinvolgere nelle tue estensioni territoriali. La seconda è quella di Boris Johnson che si sente Winston Churchill: non svenderemo il nostro onore per avere la pace perché altrimenti avremo sia il disonore che la guerra. Che fare? Dipende dalle scelte esistenziali. Morire per dei principi? È ciò che ci riesce meno bene. Lasciar correre sperando di non essere travolti? È la speranza inconfessabile: che c’entriamo noi con questa guerra? In fondo è la stessa del 1938: Morire per Danzica? Chiudo: questa guerra è già la terza guerra mondiale. Non c’è bisogno che un altro uovo si schiuda per vedere di che pulcino si tratta: è un demone ben noto. Che fare? Ognuno può e deve fare la sua scelta. Purché la si faccia consapevolmente senza falò di propaganda di alcun genere. I fatti sono fatti e la pace ha un prezzo altissimo. Mai quanto quello della guerra.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.