Gli attacchi su più fronti condotti dall’amministrazione Trump nei confronti delle principali agenzie e istituzioni educative degli Stati Uniti non costituiscono un fenomeno episodico o isolato, ma rientrano in un disegno più ampio e coerente. Le critiche rivolte alle istituzioni della conoscenza – tra cui università, stampa impegnata nella libera informazione, enti governativi con responsabilità scientifiche – rivelano un’insofferenza tipica della mentalità populista verso tutti i poteri non elettivi. In particolare, verso quelle agenzie, strutture e organismi indipendenti dal consenso politico diretto, che possono esercitare una funzione di controllo rispetto ai media pronti a ripetere ossessivamente le affermazioni di Trump, assumendole acriticamente come dati di riferimento.

Le istituzioni di conoscenza

La guerra dichiarata dalla Casa Bianca ad Harvard coinvolge, in realtà, tutte le istituzioni del sapere e dell’informazione, in quanto l’attività deliberativa e decisionale di corpi autogestiti rappresenta un ostacolo a uno stile politico fondato sulla propaganda più sfacciata, che non tollera la discussione né il dissenso – vale a dire i cardini della democrazia liberale e della società aperta. Le istituzioni della conoscenza, la cui “ragione sociale” consiste nella ricerca della verità mediante l’applicazione indipendente di standard di affidabilità disciplinari o professionali, diventano così oggetto di un attacco sistematico. Non solo perché esprimono una concezione della cultura come capacità critica e dialogica, ma perché sono custodi di un sapere verificabile, radicato nella relazione tra teoria e realtà.

La posta in gioco è cruciale: trattandosi di un metodo di governo che manipola sistematicamente la realtà per orchestrare il consenso, per Trump e i suoi sodali i processi di consultazione, il dibattito, la discussione razionale sono come fumo negli occhi, poiché rischiano di incrinare la credibilità e la fiducia nella figura del leader, nell’uomo che parla – o twitta. Ma un Paese in cui la libertà di ricerca è sottoposta a censure e pressioni da parte del potere politico può ancora definirsi una democrazia liberale? Senza una discussione libera e fondata sulla conoscenza – che informa e educa – la legittimazione democratica della partecipazione politica si riduce drasticamente. I saperi prodotti nei sistemi organizzati dell’educazione e della scienza possono, nel tempo, tradursi in prassi cognitive capaci di sviluppare negli individui un’attitudine critica nei confronti delle fake news propagate ossessivamente da un leader che si affida esclusivamente alla forza assertiva delle proprie parole, a prescindere da ogni riscontro fattuale.

Molti anni fa, Hannah Arendt osservava come l’Accademia e i luoghi dell’istruzione superiore, insieme ad altre istituzioni non politiche – come la magistratura o la stampa libera – costituiscano dei “rifugi della verità”, in grado di accrescere significativamente le probabilità che la verità prevalga nello spazio pubblico. Ma è sufficiente affidarsi a queste istituzioni per contrastare un mercato delle verità in cui tutto appare ugualmente credibile, contribuendo a creare l’illusione di una realtà infinitamente manipolabile? Qual è oggi la reale capacità delle istituzioni del sapere – garanti del vero e del falso – di preservare uno spazio autonomo nel quale sia ancora possibile “dire la verità” al potere?

Probabilmente non basta. Come riconosce la stessa Arendt, la menzogna politica è spesso performativa: crea una realtà nuova, mentre la verità si limita a riaffermare la datità del mondo. È proprio per questo che Trump vede nell’università e nelle istituzioni di alta formazione – dotate di ordinamenti autonomi – un modello da demolire. Esse incarnano infatti un’idea di sapere che si fonda sulla cooperazione, sull’argomentazione, sull’inchiesta condivisa, su uno sguardo critico e problematico. In netta contrapposizione con lo stile retorico e autoritario dell’attuale presidenza americana, queste istituzioni rappresentano un baluardo contro la cultura dell’adesione acritica. Un baluardo, dal punto di vista di Trump, pericolosamente in grado di risvegliare nell’opinione pubblica quel senso di riflessione e discernimento che ogni potere assoluto, inevitabilmente, teme.