Sì, perché Rosa è stata condannata a otto anni in primo grado per associazione di stampo mafioso, di fatto solo per via di una relazione di natura sentimentale più che criminale che l’ha portata a condividere una parte della sua vita con la persona amata da lei ma “sbagliata” per gli altri, essendo ritenuta il pericolo pubblico numero uno della ‘ndrangheta. «Pago una colpa, quella di aver amato una persona», ci dice Rosa. «Se l’amore costituisce reato, ditemi dove sta scritto nel codice penale». Si tratta di “associazione di stampo amoroso”, non c’è nel codice penale ma è comprovata da incontri, convivenze e intercettazioni con la persona amata.

È un “reato” comune a molte detenute della sezione di alta sicurezza del Carcere di Messina, quasi tutte imputate e non condannate, eppure già colpevoli – dicono – sol perché “mogli, figlie, sorelle di nomi noti”. È il caso di una donna di una certa età con un tumore al seno, da un anno in carcere, in attesa di giudizio e di un posto letto all’ospedale per l’operazione. È il caso di una giovane mamma, anche lei “moglie di”, che piange disperata perché le hanno tolto la patria potestà, l’amore legale dei due figli piccoli e la gioia di fatto di vederli al colloquio.

Nel caso di Rosa Zagari, quando lo incontrava, il suo amore era latitante, ora è detenuto al carcere duro. Dov’è il pericolo – di fuga o di reiterazione del reato – se Rosa uscisse dal carcere per andare a casa o all’ospedale, per curarsi, per evitare a se stessa il rischio patente di una paralisi, e allo Stato la patente di un potere paralitico, inanimato da giustizia, pietà, umanità.