Ci sarà un nuovo grande partito di centrodestra che raggruppa in un’unica formazione Lega e Forza Italia? O, quantomeno, una federazione tra queste due forze politiche? Nessuno, in questo momento, è in grado di prevedere con certezza quella che sarà la conclusione del percorso avviato. Ma, dopo che la proposta è stata lanciata, tutti giustamente ne parlano, ipotizzando i diversi possibili scenari futuri. È certo che, qualunque sia la formula che verrà adottata – dopo le intense trattative in atto – si tratterebbe di una nuova, ennesima, rivoluzione nel sistema politico italiano. Un altro dei cambiamenti intervenuti nell’offerta dei partiti, dovuti soprattutto alla presenza e all’azione del governo Draghi.

L’esistenza dell’esecutivo diretto dall’ex Presidente della Bce costituisce infatti il fattore principale che spiega e stimola i numerosi mutamenti e riposizionamenti dei partiti in questo momento. L’attuale Presidente del Consiglio non fa campagna elettorale. Designato come il capo di un Governo senza un preciso colore politico, egli non rappresenta una parte del paese, ma l’interesse comune degli italiani al di là delle loro opinioni di parte e anche, come ama ripetere, l’interesse delle generazioni future. Quelle che in un paese dal “familismo amorale” – non solo verso gli altri, ma anche verso sé stessi – vengono troppo spesso ignorate dai genitori dei propri figli. La Corte Costituzionale tedesca ha di recente chiesto al Parlamento della Germania di riscrivere una legge che aveva il torto di non prendere sufficientemente in considerazione gli interessi delle generazioni future. Draghi non fa politica partigiana, ma la sua presenza alla testa dell’esecutivo e il suo stile stanno cambiando la politica italiana. Draghi non è l’equivalente di un dittatore della Repubblica romana, la cui funzione è il puro mantenimento dello status quo. Che lo voglia o no, funziona da levatrice di un ordine nuovo. E, per l’appunto, il segno più recente di questa trasformazione è ciò che sta accadendo nel centro destra.

Contemporaneamente e conseguentemente a questa che potremmo definire una nuova forma di governo, è sorta infatti, con sempre maggior rilievo, una nuova stella nel firmamento politico del nostro paese. Si tratta, come si sa, dell’unica forza di opposizione, vale a dire Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Il successo costante e progressivo della leader romana è, come abbiamo già sottolineato, dovuto più alle sue notevoli capacità di comunicazione personale che a una vera strutturazione – organizzativa e territoriale – del partito che, come è stato sottolineato da molti, è invece molto debole. Sta di fatto che la Meloni continua ad accrescere i propri consensi (virtuali), minacciando sempre più da vicino il primato della Lega di Salvini e potendo diventare potenzialmente il primo partito italiano. Meloni cerca sempre di più di accreditarsi come una sorta di “opposizione di sua maestà”, con tale scelta garantendo, come lei stessa sottolinea, che non resti vuoto questo spazio politico, con i suoi potenziali benefici. Rompendo così, però, l’unità del vecchio centrodestra.

Di conseguenza, Matteo Salvini, minacciato direttamente nel suo ruolo di leader in pectore del centro destra italiano e candidato ormai da parecchio tempo al ruolo di capo del governo, vede la necessità di rafforzare la sua alleanza con l’ala centrista della sua parte politica. Sicché Draghi e Meloni sembrano spingere, magari senza intenzione, il centro destra verso il centro e verso l’Unione Europea, dove la Lega è in cerca di una collocazione. Salvini ha capito che a destra ha una competitor forte e accanita e che al centro, invece, grazie all’alleanza con Berlusconi, non ha nessuno da temere, né Meloni, né il vecchio capo e inventore della coalizione di destra. Insomma, Salvini non può accettare l’attuale stato di cose. Non può, dal suo punto di vista, consentire di essere sorpassato e di vedere così tramontare la sua leadership nello schieramento complessivo del centro destra. Anche perché un accordo tra i partiti di quest’area politica, prevede che, nel caso (molto probabile) di vittoria del centro destra alle elezioni, assuma la Presidenza del Consiglio chi ha ottenuto più voti. E Salvini vedrebbe sfumare così la sua mai celata ambizione a governare l’Italia in prima persona. Per questo insiste – si dice più volte al giorno – con Berlusconi per sancire l’alleanza.

Ne deriverebbe una forza politica che, almeno in un primo momento, difficilmente potrebbe aspirare ad ottenere la somma dei voti attualmente raccolti complessivamente da Lega e Forza Italia (circa il 30%), poiché le sommatorie di partiti che si fondono prevedono sempre qualche perdita ai margini, ma che potrebbe molto ragionevolmente aspirare a progredire. Alcuni sondaggisti hanno addirittura evocato in questi giorni un “obiettivo” del 35%, che è certo un traguardo molto ambizioso e tutt’altro che facile da raggiungere. Ma anche con lo scenario peggiore – il mantenimento dei voti attuali, anche con qualche significativa erosione – il nuovo partito (o federazione) diventerebbe, ancora una volta, la prima forza politica del paese, di cui Salvini sarebbe inevitabilmente il leader. E, forse, nel nuovo posizionamento che si verrebbe a creare, potrebbe ambire a sottrarre qualche voto alla Meloni.

Questa prospettiva potrebbe convenire a Berlusconi, che continuerebbe a presidiare l’area moderata del partito, anche se la proposta di fusione con la Lega ha già suscitato notevoli perplessità all’interno di alcune componenti di Forza Italia (in particolare dei ministri Carfagna e Gelmini) che temono di vedersi così inglobare dal Carroccio. Da questo punto di vista, è possibile che un pezzetto di Forza Italia si stacchi dall’abbraccio con Salvini e produca uno stimolo alla formazione di un visibile partito di centro, al posto dei “cespugli” esistenti. Resta il fatto che la creazione di questa nuova aggregazione sposterebbe probabilmente verso il centro pro europeo tutto lo schieramento del centrodestra. Di fatto, lo smottamento della Lega verso FI è una vittoria della linea di Giorgetti favorevole ai Popolari Europei. L’ambito delle destre nazionaliste in Europa è già occupato da Meloni. Non c’è spazio per un secondo gruppo filo-nazionalista. A Salvini conviene entrare nel PPE se lo fanno entrare, in modo da riciclarsi come non nemico dell’Unione. Per ora meno chiara sembra la posizione degli sfidanti di centro sinistra.

Conte non ha ancora il suo partito ed è possibile che da quello che è stato il Movimento 5 Stelle si stacchi un frammento in opposizione al governo Draghi. Né è del tutto evidente in questo momento, dove voglia posizionarsi il PD di Letta in una inevitabile, per ora, alleanza con il nascituro partito di Giuseppe Conte. Se a destra o a sinistra di quest’ultimo. Per altro, per quanto possano valere queste categorie nel mondo dei valori, non è più del tutto evidente a quali categorie sociali esse facciano riferimento e, specialmente, in che misura concorrano a formare la decisione degli elettori. Il panorama politico italiano sarà alla fine di questa legislatura assai diverso da quello che era emerso dopo le elezioni legislative del 2018. Gli spostamenti sono già stati massicci e non è possibile dire oggi quale morfologia apparirà da qui a due anni. Vediamo soltanto che il sismografo non si ferma. E molte sorprese saranno possibili.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

Autore