Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con l’ordinanza pronunciata venerdì 7 marzo, hanno deciso che uno dei migranti soccorsi in mare nell’agosto del 2018 dalla nave Diciotti dovrà essere risarcito dallo Stato, perché l’allora ministro dell’Interno Salvini non ne consentì lo sbarco, lasciandolo a bordo, unitamente agli altri, per sei giorni in condizioni fisiche e psicologiche precarie.

Prima il Tribunale e poi la Corte di Appello di Roma, nel marzo del 2024, avevano rigettato la domanda di risarcimento del danno presentata da alcuni migranti, per difetto di colpa della Pubblica amministrazione e per la mancanza della prova del danno e il solo Mulugheta Gebra Kefala ha presentato ricorso per Cassazione. La richiesta di risarcimento del danno era pari a 160€ per ciascuno dei giorni in cui il signor Kefala ha subìto il trattenimento. La Cassazione ha accolto il ricorso, rinviando ad altra sezione della Corte di Appello Roma affinché quantifichi il danno patito.

La decisione ha scatenato commenti grevi e inappropriati da parte di alcuni politici, primo fra tutti proprio il ministro interessato in prima persona dalla decisone. I commenti sono giunti talmente fulminei da far sorgere il legittimo dubbio che abbiano preceduto la lettura del provvedimento e dunque la comprensione delle ragioni della decisione. Purtroppo si tratta di uno scenario sempre più ricorrente, al quale non possiamo e non vogliamo abituarci, come ricorrenti e sempre più veementi sono però gli interventi dei magistrati in campo politico.

Qui appare necessaria una netta distinzione: il riferimento non è ai provvedimenti che, a torto o ragione, si ritiene che abbiano una ricaduta sulle scelte del governo, bensì ai magistrati che intervengono sui media e più in generale in occasioni pubbliche per sostenere le proprie opinioni in materia di politica giudiziaria. Una distinzione assolutamente necessaria, che però rischia di non essere compresa dai cittadini e di alimentare un conflitto tra poteri dello Stato che determina la progressiva delegittimazione del potere giudiziario.

La nostra Costituzione liberale e democratica riconosce i diritti fondamentali della persona, affidando alla politica il compito di attuarli e al potere giudiziario quello di garantirne la tutela, applicando la legge, il diritto europeo, il diritto internazionale e i princìpi della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. In una democrazia evoluta non esistono poteri assoluti, ma equilibri che vanno rispettati da tutti. Gli attacchi scomposti alla giurisdizione da parte della politica, ben oltre il legittimo diritto di critica, sono testimonianza di un’insofferenza nei confronti dello Stato di diritto, che rischia di minare fin dalle sue fondamenta il patto su cui si basa la nostra convivenza, e non può non determinare un senso di smarrimento e di sincera preoccupazione.

La rappresentanza sindacale dei magistrati farebbe però bene ad avviare una seria riflessione sulle proprie responsabilità e sull’inopportunità e sulle conseguenze della scelta di contrapporsi alla politica, invadendone gli spazi, indossando essa stessa i panni del partito politico, e avviando professionali campagne di propaganda spesso nutrite da una sfacciata disinformazione contro la riforma costituzionale della separazione delle carriere, con la pretesa di vestire al contempo anche i panni dell’unico garante della Costituzione. Immagini come quelle dei magistrati che voltano le spalle al ministro della Giustizia con la Costituzione in mano e una coccarda sulla toga, uscendo dall’aula con l’ostentata convinzione di essere gli unici custodi del vero e del giusto, minano l’autorevolezza delle decisioni giudiziarie non meno delle offese proferite all’indirizzo della giurisdizione da qualche sgrammaticato politico.

Non si discute della legittimità che il magistrato esprima il proprio pensiero, ma dell’opportunità che lo faccia con le modalità scelte dall’Associazione nazionale magistrati, che ha ormai abbandonato ogni remora legata alla sobrietà che dovrebbe governare ogni sua presa di posizione, mettendo al centro del proprio operato solo l’obiettivo politico di affossare a qualunque costo una riforma costituzionale. La politica porta però a navigare in un mare periglioso che rischia di travolgere ogni cosa, anche i pochi resti, ormai consunti, della fiducia che i cittadini nutrono nell’operato dei giudici. Il sindacato delle toghe malauguratamente, al momento, non sembra preoccuparsene, malgrado si tratti di un fondamentale bene comune, che dovrebbe essere preservato gelosamente nell’interesse dei cittadini.

Rinaldo Romanelli – Segretario dell’Unione Camere Penali Italiane

Rinaldo Romanelli

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