«Smettiamo di lasciare che euroscettici e populisti dominino il dibattito sull’integrazione europea. Iniziamo a costruire oggi un’Europa davvero più forte e unita». Daniel Freund, giovane europarlamentare tedesco del gruppo dei Verdi europei, ha forse usato le parole migliori per esprimere il senso della risoluzione sulla Conferenza sul futuro dell’Europa approvata dal Parlamento europeo lo scorso 15 gennaio. Il testo – adottato con 494 voti favorevoli, 147 contrari e 49 astensioni, dopo un dibattito con Dubravka Šuica, vicepresidente della Commissione europea per la Democrazia e la Demografia, e Nikolina Brnjac, in rappresentanza della Presidenza croata del Consiglio – contiene una serie di proposte e suggerimenti per assicurare lo svolgimento di un processo che potrebbe assumere un rilievo storico.

Gli ultimi anni dell’Europa, infatti, sono stati segnati da profonde trasformazioni e dalla sfida dei populismi emergenti, dal “no” alla Costituzione europea dei referendum francese e olandese nel 2005 fino al referendum 2016 sulla Brexit con l’addio del Regno Unito confermato dalle elezioni britanniche di fine 2019. Il cosiddetto “deficit democratico” dell’Ue, negli anni passati stigmatizzato da tanti, unito alle crisi economiche e migratorie, ha certamente contribuito a provocare prima la delusione e, poi, la reazione difensiva degli elettorati nazionali che hanno fatto sentire la loro voce rafforzando i partiti euroscettici e nazionalisti.

Le elezioni del Parlamento europeo del 2019 avevano così assunto i contorni della “sfida finale” tra europeisti e populisti: i primi incarnati plasticamente dal Presidente francese Emmanuel Macron, i secondi dal leader della Lega Matteo Salvini. I risultati elettorali, se da un lato hanno ulteriormente frammentato il quadro dei partiti europei, penalizzando le famiglie politiche tradizionali (socialisti e popolari), dall’altro hanno sancito la vittoria delle formazioni europeiste a scapito di quelle euroscettiche. L’Europa ha avuto così un’altra chance per continuare il suo cammino. Ma lo scampato pericolo non può più far dormire sonni tranquilli. Le istituzioni europee, ancora assai deboli, hanno adesso la responsabilità di rafforzare la loro legittimazione democratica nel dialogo con i cittadini.

Il primo a capire questa necessità è stato Emmanuel Macron. «Non dobbiamo più aver paura dei popoli e far evolvere l’Europa senza di loro. Dobbiamo rifondare il progetto europeo con e per il popolo, con un’esigenza democratica molto più forte di una semplice domanda che possiamo porre tramite referendum… Organizziamo un dibattito aperto, libero, trasparente, per costruire questo progetto…», così aveva detto, tra l’altro, il presidente francese nel famoso discorso della Sorbona del 26 settembre del 2017.

Più di recente, Macron ha rilanciato il suo progetto con la lettera ai cittadini europei del 4 marzo 2019, ispirata alla Renaissance dell’Europa: «Non possiamo lasciare i nazionalisti, senza soluzioni, sfruttare l’ira dei popoli. Non possiamo essere i sonnambuli di un’Europa rammollita. Non possiamo rimanere nella routine e nell’incantesimo. L’umanesimo europeo è un’esigenza di azione. E ovunque i cittadini chiedono di partecipare al cambiamento. Allora entro la fine dell’anno, con i rappresentanti delle istituzioni europee e degli Stati, instauriamo una Conferenza per l’Europa al fine di proporre tutti i cambiamenti necessari al nostro progetto politico, senza tabù, neanche quello della revisione dei trattati. Questa conferenza dovrà associare gruppi di cittadini, dare audizione a universitari, parti sociali, rappresentanti religiosi e spirituali. Definirà una roadmap per l’Unione europea trasformando in azioni concrete queste grandi priorità. Avremo dei disaccordi, ma è meglio un’Europa fossilizzata o un’Europa che progredisce, talvolta a ritmi diversi, rimanendo aperta a tutti?».

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