Il colloquio del Cardinale con il patriarca di Mosca, Kirill
“Lavorare per la pace”: Don Matteo Zuppi in missione a Mosca
Il filo conduttore della missione diplomatica del Cardinal Zuppi a Mosca è sicuramente la prudenza. È una diplomazia fatta di piccoli passi: frutto sia della strategia vaticana sia dell’enorme difficoltà della missione.

Papa Giovanni XXIII, un pontefice che fece di tutto per scongiurare un conflitto nucleare durante la Guerra Fredda, riteneva la prudenza “la virtù caratteristica del diplomatico”. Ed è forse proprio questo elemento, la prudenza, a essere il filo conduttore della missione del cardinale Matteo Maria Zuppi a Mosca. Prudenza nei gesti, nelle indiscrezioni, ma anche nelle dichiarazioni. Un silenzio che qualche osservatore più critico ha collegato a una missione foriera di pochi risultati. Ma la diplomazia vaticana si è sempre mossa con questi criteri, spesso visti come nascosti. Certamente molto diversi rispetto ai canoni dell’odierna politica internazionale.
Nel silenzio però qualcosa c’è stato, ed è stata soprattutto la ricerca di azioni sotto il profilo umanitario. Una scelta diplomatica che racchiude un messaggio preciso da parte della Chiesa: per iniziare un dialogo occorre trovare un terreno comune dove entrambe le parti possono iniziare a parlare. E quello dello scambio dei prigionieri, della tutela dei bambini, di valori che devono essere riesumati dall’orrore della guerra, può essere un primo livello in cui Russia e Ucraina tornano a comunicare.
Pur se da situazioni opposte e senza mai mettere in dubbio né la responsabilità dell’invasore né i diritti dell’aggredito. L’incontro con la commissaria russa per i diritti dell’infanzia, Maria Lvova Belova, sotto accusa da parte della Corte penale internazionale, è servito proprio a testimoniare il primo punto nell’agenda della missione pontificia: i bambini.
Parlare con una donna accusata della loro deportazione può essere apparso, a molti, come una forzatura o come un’immagine distorta. Ma la missione di Zuppi a Mosca, per avere effetti concreti, doveva partire dal presupposto che la scelta degli interlocutori non sarebbe stata un ostacolo. Il fine di aprire a gesti di umanità superava anche qualsiasi diffidenza diplomatica. La commissaria russa, conformandosi allo stile narrativo del Cremlino, ha voluto pubblicare le foto dell’incontro con Zuppi lanciando un messaggio di apertura: “Sono sicura che l’amore e la misericordia cristiana aiuteranno nel dialogo e nella comprensione reciproca”. Anche in questo caso, come detto, la prudenza è d’obbligo. Ma la speranza che qualche piccolo passo sia stato fatto, quantomeno per alcuni gesti concreti, non può essere sottovalutata.
Speranza che trapela anche dalle parole del patriarca di Mosca, Kirill, che ha incontrato il cardinale nel pomeriggio. “Le Chiese possono lavorare insieme per servire la causa della pace e della giustizia” ha detto il patriarca, sottolineando che “è importante che tutte le forze del mondo si uniscano per prevenire un grande conflitto armato”. Frasi di circostanza? Probabile. Ma pure in questo caso, sono anche i “semplici” gesti a dire qualcosa. Non era affatto scontato, dopo il duro confronto tra Francesco e Kirill, che quest’ultimo decidesse di aprire le porte del patriarcato all’inviato del pontefice. E non era nemmeno scontato parlare di pace e di impegno per prevenire un conflitto su vasta scala per un uomo che ha rappresentato (e continua a rappresentare) il più fedele alleato di Vladimir Putin nel giustificare la guerra.
Soprattutto se si considera il peso politico che Kirill ha non solo al Cremlino, ma anche nei vari circuiti del potere russo e in un’opinione pubblica attenta alle dichiarazioni del proprio leader religioso. È una diplomazia fatta di piccoli passi: frutto sia della strategia vaticana sia dell’enorme difficoltà della missione. Ma è una diplomazia fatta anche di simboli. Francesco, mandando il cardinale Zuppi a Mosca e l’elemosiniere Konrad Krajewski nella “martoriata Ucraina”, sembra avere voluto lanciare il messaggio che l’impegno della Chiesa, in questo momento, è rivolto a fare il possibile per alleviare le sofferenze causate dalla guerra. E senza confondere, come ricordato dal capo della Chiesa greco-cattolica ucraina Sviatoslav Shevchuk, la “neutralità politica” con la “neutralità morale”.
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