La premier prende voto 3. La leader della maggioranza prende 7. E ancora una volta la conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio invece di essere un momento della verità al servizio dei cittadini si è trasformata in tre ore di pura propaganda. Il momento della verità oggi era vieppiù necessario per il fatto che Meloni non parla del 18 dicembre e in questo paio di settimane è successo di tutto tra Mes, Patto di stabilità, legge di bilancio, inchiesta Anas, discorso del Capo dello Stato e il deputato sparatore eletto con Fratelli d’Italia. Invece sono state oltre tre ore di parziali verità, non risposte quando palesi bugie.

È necessaria una premessa: la formula della conferenza stampa, organizzata da Ordine dei giornalisti e Stampa parlamentare, prevede che il giornalista non possa in alcun modo commentare la risposta ricevuta, esauriente, soddisfacente, non pertinente perché in questo modo si toglierebbe spazio agli altri colleghi sorteggiati (in genere più di quaranta). In questo modo un abile leader politico sa bene come fare lo slalom tra problemi veri altri meno urgenti, tra il rinvio dell’assunzione di responsabilità e la negazione del problema.

Tasse, risorse, regole europee

Questi temi sono stati al centro di almeno cinque domande, a cominciare dalla prima posta dal Riformista. Dove trovare ad esempio le risorse per il 2025, dossier a cui il governo deve lavorare subito perché in aprile c’è il Documento di economia e finanza? Servono 32 miliardi solo per confermare le misure tanto esaltate in questa legge di bilancio (taglio del cuneo, riduzione Irpef), rispettare le nuove regole europee sul Patto di stabilità (riduzione di un punto di deficit e politiche invariate) e non fare assolutamente altro di quello che, ad esempio, il Capo dello Stato ha indicato nel discorso di fine anno: soldi alla sanità, per gli stipendi e il lavoro qualificato, per i giovani e gli studenti. La premier è arrivata a negare di aver detto per mesi che dal contenuto del Patto di stabilità dipendeva il Mes (la logica del pacchetto), è stata vaga sulla necessità o meno di una manovra correttiva già in aprile. E sulle risorse: dove le prenderà, più tasse o più tagli alla spesa pubblica? Meloni si è un po’ stupita per queste domande: “E’ presto, c’è tempo per pensarci”.

Ha detto di preferire il taglio della spesa pubblica all’aumento delle tasse: peccato che in questa manovra tra ritorno dell’Iva in bolletta, ritorno al 22% su beni per la prima infanzia e altri tagli ci sono ben nove microtasse in più. Ha aggiunto di “non sapere se ci dovrà essere una manovra correttiva”. E però, cerchiano di essere “un po’ positivi come suggeriscono l’andamento di spread, indici di borsa, tasso di occupazione”. Le risorse arriveranno da crescita (“abbiamo dati migliori dello 0,6 di Bankitalia), riduzione dei tassi della Bce e taglio della spesa pubblica. “Sette miliardi in questa manovra…”. La bugia: i tagli di sette miliardi hanno riguardato per lo più enti locali, detrazioni delle famiglie (i 260 euro), previdenza, poco o nulla i ministeri che invece continuano ad ingrassare con personale in aggiunta. Le mezze verità: i 20 miliardi di privatizzazioni previsti non è chiaro ancora da dove possano arrivare. Magari Poste, forse Ferrovie, non si parla di Rai (“Telemeloni? Ma per favore. La Rai è la principale azienda culturale di questo paese, guai paragonarla a tv private generaliste”). Una cosa è certa: “Non faremo regali miliardari ad imprenditori bene inseriti, con noi lobbisti e affaristi non trovano spazio. I privati potranno entrare in quota minoritaria, lo Stato continuerà a controllare quello che è strategico”.

Garantismo a la carte

Sul caso Pozzolo, la premier dice il minimo sindacale: “Chi detiene un’arma deve essere responsabile, Pozzolo non lo è stato. Ho dato mandato ai Probi viri del partito di valutare l’espulsione”. Non una parola sul fatto che il fedelissimo Delmastro si trovi spesso al centro di situazioni come minimo border line; che non è opportuno coinvolgere la scorta (polizia penitenziaria) in feste private; che il deputato di FdI abbia mentito più volte in 48 ore. “Un problema con la mia classe dirigente? Sono abbastanza stufa di questa critica”. Il tema emerge anche parlando dell’inchiesta Anas, il ruolo di Salvini (mai indicato nelle carte, la Lega invece si), del sottosegretario Freni. “Io non ho mai chiesto le dimissioni di nessuno”. Falso, Meloni le ha chieste ogni volta che ha potuto. Ai tempi del governo Renzi pretese, e ottenne, le dimissioni dell’allora ministro Guidi sulla base di un’inchiesta (Tempa rossa) che si sgonfiò in poche settimane.

Il premierato

Sulla riforma costituzionale si è limitata a dire che è nel programma del centrodestra, che serve a dare stabilità, che non vengono toccati i poteri del Presidente della Repubblica e che, in ogni caso, “il referendum non riguarderà me e il mio futuro politico. Non faccio quello che fece Renzi”. Neppure un cenno al fatto che fior fiore di costituzionalisti dicono il contrario nel momento in cui il Capo dello Stato avrà gioco forza meno potere non essendo eletto del popolo come il premier e non potrà più gestire le crisi di governo che avranno un iter obbligato. Al tempo stesso però dice anche di non aver messo testa alla legge elettorale: “Vedo solo due condizioni: le preferenze e lo sbarramento per aver accesso al premio di maggioranza”. Come se metterlo al 25% o al 40% fosse la stessa cosa. In questo caso non si tratta di bugie ma di omissioni e parziali verità.

Immigrazione

Anche qui, più omissioni che bugie. Il Piano Mattei ancora non sappiamo in cosa consista (“non voglio dirlo qua”). Sono “consapevole che i risultati di questo anno non sono quelli attesi. Il nuovo Patto europeo per l’immigrazione e l’asilo va bene ma non è la soluzione che consiste

nel limitare il più possibile le partenze per avere in cambio un’immigrazione qualificata come quella prevista dal decreto flussi per tre anni”. Peccato che quel decreto non funzioni visto che solo il 30% riesce poi ad avere un contratto di lavoro stabile. “E’ vero – ammette – dobbiamo semplificare e potenziare. Lo faremo”.

Su Europa, Draghi e Elon Musk

Non ha ancora deciso cosa fare circa la candidatura alle Europee (“dipende dagli altri leader della coalizione, a me non dispiace”), lascia sospesa la candidatura di Draghi (“inutile adesso il totonomi, il tema adesso è quale Europa vogliamo”), apre a tutte le coalizioni “tranne Afd e Socialisti”. Cerca di ridimensionare Elon Musk, che ha più volte invitato a palazzo Chigi oltre che alla festa del partito.

Chi sperava che da questo primo appuntamento dell’anno venisse fuori il progetto e la visione del Capo del governo per l’anno che verrà, è rimasto deluso. Chi cercava la leader della maggioranza, abile a mettere nel mirino l’avversario politico e a fare la vittima (“tutti i giorni mi devono far pagare qualcosa”) ha trovato una Giorgia Meloni in perfetta forma.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.