Dopo il sindacato dei magistrati, partono all’attacco contro il Riformista le toghe di sinistra del Csm, quelle della corrente Area, che istigano (si può usare questo verbo, o vale solo per i presunti delinquenti?) il Comitato di presidenza ad aprire nella prima commissione una pratica a tutela dei magistrati della procura di Catanzaro. Cioè di Nicola Gratteri. È bello questo fatto che improvvisamente, dopo tutto quel che ci ha raccontato Luca Palamara nei suoi libri scritti con Sandro Sallusti, i magistrati siano tutti amici e solidali tra loro e che scattino come un sol uomo al primo squillo di tromba udito a destra, cui, inevitabilmente, a sinistra risponde uno squillo.

Il primo squillo è arrivato dalla Procura della repubblica di Catanzaro, non appena avuta notizia del fatto che il detenuto Pittelli Giancarlo, stremato e barcollante dopo venti giorni di digiuno, che intendeva proseguire fino alle massime conseguenze, era tornato a casa su disposizione del tribunale di Vibo Valentia. Lo stesso che lo sta giudicando, in compagnia di qualche altro centinaio di imputati nell’apposita aula bunker fatta costruire dal procuratore Gratteri, che attende sempre di diventare il nuovo Falcone. All’insigne procuratore non sta bene il fatto che un suo imputato, che non deve rispondere di strage né di narcotraffico o stupro, ma solo dell’evanescenza di aver annusato a distanza l’aria di mafia mentre difendeva, da avvocato, qualcuno che magari boss lo era davvero, gli fosse sfuggito dalle mani. E si, perché, se due anni di carcere preventivo (pudicamente possiamo anche chiamarlo “custodia cautelare”, ma sempre galera è) vi sembran pochi, provate voi…con quel che segue.

Quindi niente domiciliari (strettissimi e con braccialetto al polpaccio) per l’imputato Pittelli. E, mentre ancora non si era asciugato l’inchiostro del provvedimento del tribunale che autorizzava lo stremato barcollante a farsi accompagnare a casa a Catanzaro (ma una clinica, viste le condizioni, sarebbe stata più opportuna), già gli uomini della procura avevano impugnato le armi del ricorso. Sia mai che all’avvocato venga in mente, con le poche forze rimaste, di scrivere altre lettere ad altri ministri, dopo quella sventurata a Mara Carfagna. Si trascini subito, magari in ceppi, l’imputato, ancorché barcollante, a un’udienza tribunalizia tra un mese, scrive la procura. E lì vi racconteremo, aggiunge l’atto di impugnazione, chi è davvero Giancarlo Pittelli. E giù un elenco di fatti e misfatti. Dimenticano però gli insigni giuristi, di nominare gli elementi –quelli previsti dal codice di procedura penale- sulla cui base ritengono che l’imputato debba tornare alla custodia in carcere.

Lo dovranno spiegare in quell’udienza del 22 marzo, se ritengono che il legale fosse in procinto di espatriare piuttosto che di ripetere ossessivamente (reiterare, dice l’articolo 274) quell’annusamento dell’aria mafiosa che è il “concorso esterno”, oppure di inquinare le prove con la sua grafomania. Solo questo dovranno motivare, non i racconti di vita dell’imputato. Ma c’è di più, anche la scelta della data un po’ puzza, cari procuratori. Tanto da indurre la protesta della Camera penale di Catanzaro. Ma come, dicono gli avvocati del capoluogo calabro, quando i ricorsi li facciamo noi ci fate aspettare sei mesi, se invece impugna il procuratore, una trentina di giorni è sufficiente? Un esempio di applicazione quotidiana della parità accusa-difesa nel mitico processo accusatorio.

Allo squillo del “trombettiere” procuratore ha immediatamente risposto quello del sindacato Anm, che spesso si comporta non solo come un partito, ma proprio come un partito leninista fortemente ideologicizzato. Basta del resto pescare a piene mani nel libro Il Sistema (grazie, Palamara) per trovare le perle degli assalti a Berlusconi piuttosto che a Salvini. E il dottor Cascini, la cui firma vediamo oggi tra quelle del Csm che chiedono la pratica a tutela del procuratore Gratteri, è forse un omonimo di colui che da segretario dell’Anm (sempre quella) un giorno disse: «La maggioranza di centrodestra non ha legittimazione storica, politica e culturale e anche morale per affrontare la riforma della giustizia»?

Il secondo squillo dunque al sindacato-partito, sezione Calabria, che ha tentato di infilzare il direttore del Riformista Piero Sansonetti, accusandolo di essere “aggressivo”. Come se invece accanirsi sui corpi delle persone, sottoponendole, oltre che alla violenza del processo, anche alla tortura del carcere fosse un bel mestiere di pacificatori. Ma c’è poco da protestare. Perché è un dato di fatto, come ha scritto il direttore, che, dopo tutte queste “lotte” della procura di Catanzaro, con maxiprocessi e conferenze stampa, la ‘ndrangheta, pur con tutte le sue trasformazioni, è più viva che mai, in Calabria e altrove. Se il sindacato delle toghe si offende per questa realtà, forse vuol dire che i suoi esponenti non sono poi così bravi a “lottare”. Forse se facessero invece il proprio dovere, che è quello di individuare i responsabili, quelli veri, dei reati, senza le fanfare dei maxiprocessi, dell’uso salvifico dei reati associativi che tutto contengono e a pochi risultati portano, magari la realtà calabrese sarebbe un po’ più bonificata.

Ma non si sentiva per niente la necessità del terzo squillo, quello romano di Area. Che tristezza, dottor Cascini (mi rivolgo alla sua esperienza anche di ex sindacalista) sentir parlare ancora, come ai tempi in cui Cossiga mandò i carabinieri al Csm che voleva pronunciarsi contro Craxi, di «…aggressioni personali nei confronti di magistrati da anni impegnati nel contrasto al crimine organizzato». Che comporterebbero il rischio di «delegittimare complessivamente l’azione della magistratura e dello Stato in un territorio difficile come la Calabria». Siamo ancora alla “delegittimazione” dell’intera Casta se appena appena ne tocchi uno? Suvvia, dottor Cascini, con la sua esperienza….

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.