“Non è consentito al pubblico ministero, in prossimità della sentenza, sostenere una tesi che orienti il dispositivo, o anche indirettamente lo condizioni, preparando la folla a una decisione che, se diversa da quella ipotizzata, venga interpretata come prodotto di timori del giudice o addirittura di condizionamenti”. Mittente: Federico Cafiero De Raho, su La Stampa del 13 dicembre 2021. Destinatario colui che sul Corriere del 23 gennaio 2021 dichiarò: “Noi facciamo richieste, sono i giudici delle indagini preliminari, sempre diversi, che ordinano gli arresti. ..Poi se altri giudici scarcerano nelle fasi successive non ci posso fare niente, ma credo che la storia spiegherà anche queste situazioni”. Ci sono giudici indagati? “Su questo ovviamente non posso rispondere”. Disse il Procuratore.

È un po’ anche per questo -per il ricordo di quell’intervista di quasi un anno fa- che, quando si pensa per esempio a chi ha mandato nel carcere speciale (alta sicurezza 3, quella dei narcotrafficanti) di Melfi, in Basilicata, l’avvocato Giancarlo Pittelli, più che alla dirigenza del Dap o al tribunale di Vibo Valentia, il pensiero corre a “lui”. A colui da cui tutto partì e che –ma sono voci di palazzo di giustizia- nei confronti dell’imputato più illustre della sua inchiesta “Rinascita Scott” nutre un po’ di malanimo, di scarsa simpatia insomma. Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. A lui corre il pensiero, anche perché siamo nei giorni in cui è entrata in vigore quella norma che, dando attuazione a un dispositivo imposto dall’ Europa, mette in riga forze dell’ordine e magistratura, procuratori in particolare, sulla comunicazione. Basta conferenze stampa. E guai a presentare l’indagato come colpevole. E se al dottor Gratteri, nonostante almeno due recenti denunce al Csm da parte delle Camere Penali, nessuno ha ancora osato tirare le orecchie, ecco che oggi si prende la briga di farlo, con tono tutt’altro che allusivo, se pur senza fare nomi, il vertice massimo dell’Antimafia, il procuratore Federico Cafiero De Raho, che andrà in pensione proprio nei giorni in cui i grandi elettori sceglieranno il nuovo Presidente della Repubblica.

Un’intervista tagliente, neppure travestita da un pizzico di bonomia, quella rilasciata a La Stampa. Mentre si sta per gettare la toga, si può fare. E non è necessario fare nomi e cognomi. Anzi, obbligatorio precisare che si sta parlando “in generale”. Tanto, non si corre il rischio di esser trattato come Otello Lupacchini, l’alto magistrato che alla quiescenza fu accompagnato da un Csm cui Gratteri evidentemente è più simpatico, mettiamola così. Ma in quel caso non c’era malizia, c’era un giudizio severo su un certo modo di condurre le inchieste, sull’applicazione delle norme del codice di procedura penale, il “codice dei galantuomini”. La malizia di oggi porta a ricordare che il dottor Gratteri nutre come propria massima ambizione quella di andare a occupare, nel mese di febbraio, il ruolo occupato oggi da Federico Cafiero de Raho, capo assoluto dell’antimafia. È il luogo adatto a un procuratore che mostra di sentire quasi come un’offesa personale qualunque sconfessione alla propria ipotesi accusatoria? Forse si, a guardare il comportamento tenuto fino a ora nei suoi confronti, fin dai tempi di Palamara quando ci fu lo scontro con Lupacchini, dal Csm. Inutile girarci intorno. I suoi metodi al Consiglio piacciono, se ne faccia una ragione, dottor Cafiero. E anche le sue dichiarazioni che gettano ombre di sospetto sui tutti i giudici che hanno modificato le decisioni del combinato-disposto pm-gip. Quando, su oltre 224 misure cautelari dell’inchiesta “Rinascita Scott”, circa 200 erano state modificate dal tribunale della libertà e dalla cassazione. Erano tutte “condizionate” da qualcuno di quei giudici? E che iniziative ha assunto a loro tutela il Csm, cui si rivolsero le Camere Penali? Oltre a tutto l’intervista al Corriere della sera era grave non solo per le insinuazioni nei confronti del colleghi del settore giudicante.

L’attenzione in quel momento era infatti concentrata soprattutto sull’informazione di garanzia al segretario dell’Udc Lorenzo Cesa nel momento in cui il premier Giuseppe Conte stava cercando affannosamente voti di parlamentari “responsabili” per tentare il suo terzo mandato, e la piccola truppa dei senatori Udc faceva gola. Le dimissioni di Cesa dalla segreteria del partito aveva bloccato l’operazione politica e poi aperto le porte al governo Draghi. L’attenzione era quindi tutta concentrata sulla domanda: processi a orologeria politica? Non una domanda secondaria. Non si sa se la battuta infida del procuratore Gratteri sui giudici sia stata un’abile mossa per distogliere l’attenzione dall’aspetto politico della vicenda. Di certo il magistrato era riuscito una volta di più a tenere alta l’attenzione mediatica su di sé e sulle proprie iniziative giudiziarie. Fatto sta che il mondo politico era troppo impegnato e fare e disfare maggioranze e lasciò agli avvocati il compito di indignarsi e di gestire lo scandalo. Era già la seconda volta in cui la Camere penali, la loro giunta e lo stesso presidente Gian Domenico Caiazza, intervenivano a causa delle dichiarazioni straripanti e veramente scandalose del procuratore di Catanzaro.

Il 24 dicembre del 2019, pochi giorni dopo il blitz “Rinascita Scott” con 334 arresti e 416 indagati, quell’inchiesta che avrebbe dovuto rendere il dottor Gratteri più famoso di Giovanni Falcone, e il suo Maxiprocesso più importante di quello di Palermo, il procuratore non è contento. Non è soddisfatto perché, nonostante lui sia riuscito a infilare tra gli arrestati un pugno di politici (il più famoso è proprio Pittelli) e di imprenditori, quella che chiama la “zona grigia”, la cinghia di trasmissione tra la mafia e le istituzioni, le notizie non hanno la rilevanza desiderata. Così lui si mette disperatamente a twittare e a lamentarsi. Non le manda a dire. “La mia maxi-operazione scompare dalle prime pagine dei grandi giornali…è stata boicottata, un grave errore, bisognerebbe chieder conto ai direttori delle testate più importanti di questo buco”. Ce l’aveva con Repubblica e La Stampa e più tiepidamente con il Corriere. Non aveva mancato però di elogiare i complimenti che gli avevano elargito gli amici del Fatto quotidiano.

Reazioni politiche? Interrogazioni al ministro? Intervento del Csm? Macché, aumentano solo le interviste. È l’Osservatorio sull’informazione giudiziaria delle Camere penali a intervenire: “Siamo al parossismo del processo mediatico. Non solo si divulgano notizie sulle indagini come se le ipotesi investigative fossero sentenze passate in giudicato, ma si pretende che i giornali ne parlino in prima pagina”, scrivevano gli avvocati. Non dimenticando di elencare i tanti flop che il procuratore aveva già portato a casa. E oggi, ma due anni dopo quell’esibizione sgangherata e la protesta isolata degli avvocati, il procuratore capo dell’antimafia Cafiero de Raho gli risponde che “…si assiste a volte al protagonismo di alcuni circoli mediatici ai quali non sono estranei gli stessi magistrati, che tendono alla costruzione di verità alternative…”. Già, quelle “verità” deformanti che mettono a rischio lo stesso Stato di diritto. Perché “L’enfasi con cui certe indagini vengono rappresentate dalla stampa, rischia di diffondere nell’opinione pubblica la patologia del giustizialismo, la sollecitazione a una giustizia sommaria”, sentenzia Cafiero de Raho. Perfetto, con due anni di ritardo da quel blitz del 19 dicembre 2019 e tutto quello che ne è seguito, compresi i tre arresti dell’avvocato Giancarlo Pittelli.

 

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.