Mimmo Tallini è stato assolto ieri perché “il fatto non sussiste”. L’ex presidente del Consiglio Regionale della Calabria non è mafioso e non ha attuato nessun voto di scambio con la cosca Grande Aracri. Una botta micidiale per gli uomini della Dda, che avevano chiesto una condanna a sette anni e otto mesi di carcere. Ma soprattutto l’ennesima caduta d’immagine per il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che nella consueta conferenza stampa del novembre 2020 aveva annunciato di aver messo le mani sulla mafia “di serie A”, con il solito ragionamento che individua il politico o l’amministratore pubblico come anello di congiunzione tra gli uomini della ‘ndrangheta, la società civile, le istituzioni e a volte anche la massoneria, come nel caso di Giancarlo Pittelli.

Quel 19 novembre del 2020 gli arrestati erano 19. Di questi ieri il gup di Catanzaro nel processo con rito abbreviato ne ha assolti altri cinque, oltre a Tallini. Che era rimasto due mesi ai domiciliari e mai in carcere, un po’ perché erano i giorni in cui lo stesso procuratore generale Giovanni Salvi, vista la diffusione intensa del Covid negli istituti di pena, aveva sollecitato i magistrati e le forze dell’ordine a ridurre le misure cautelari, ma forse anche perché quell’arresto era servito soprattutto per la conferenza stampa. Siamo alle solite: quale testata nazionale si sarebbe mai interessata al fermo di un improbabile antennista faccendiere e di pochi esponenti mafiosi se nell’inchiesta non fosse stato presente anche il boccone grosso della politica? Uno addirittura al vertice del Consiglio Regionale?

Entusiasta era stato il Fatto quotidiano, che l’aveva buttata anche in politica, per l’appartenenza del prestigioso arrestato all’area di centro, e aveva dedicato all’episodio la parte centrale della prima pagina, l’apertura, insomma. “Dialogare con questi?” era il titolo. E poi: “Altro che inciucio. Mentre metà del Pd vuole B come alleato, Gratteri scopre i voti di scambio del ras forzista con la cosca del business sanità”. E le intercettazioni, in cui mai veniva comunque fatto il nome del Presidente del consiglio (all’epoca dei fatti assessore al personale), né mai si sente la sua voce in colloqui con aderenti alle cosche, vengono usate in modo disgustoso per sentenziare che siamo in presenza della “dimostrazione plastica di come ‘ndrangheta e politica insieme si sono mangiati la Calabria”. E in un commento Tallini viene descritto come il “facilitatore politico amministratore della ‘ndrangheta”. Auguri Travaglio, per il processo dopo l’inevitabile querela. E anche a Nicola Morra che, da presidente dell’Antimafia, lo aveva qualificato come “impresentabile”.

La verità è che l’inchiesta aveva basi debolissime, e lo si era capito da quando, due mesi dopo il blitz, il tribunale del riesame aveva già scarcerato Tallini, accogliendo il ricorso degli avvocati Vincenzo Ioppoli, Valerio Zimatore e Carlo Petitto. E demolendo, mattoncino dopo mattoncino, tutta quanta l’ipotesi accusatoria e l’ordinanza del gip Giulio De Gregorio il quale aveva descritto Mimmo Tallini come “un’ombra dietro le ombre”, uno così furbo da non salire mai su auto altrui e da riuscire a non farsi mai intercettare al telefono con mafiosi. Veramente eccezionale, questo ragionamento: se ti intercetto al telefono con un boss sei mafioso, ma lo sei anche se non ti becco. Il tribunale del riesame aveva semplicemente smascherato il “giano bifronte” nel personaggio dell’antennista, che nella sentenza di ieri è stato condannato a sedici anni di reclusione.

Era una sorta di cavallo di troia, hanno detto i giudici, che giocava su due tavoli. Ma i due tavoli, quello mafioso e quello delle istituzioni, non sono mai stati due vasi comunicanti. Nonostante quelle motivazioni con cui il tribunale del riesame aveva mostrato l’inconsistenza delle accuse nei confronti del Presidente del Consiglio Regionale, Mimmo Tallini è andato a processo, e non si è più ricandidato alle ultime elezioni. Saranno stati soddisfatti Travaglio e Morra, almeno un risultato l’hanno portato a casa. Almeno loro, che in quel periodo avevano a cuore soprattutto l’integrità del governo Conte, la cui sopravvivenza sarà messa in discussione proprio un mese dopo, con l’informazione di garanzia, sempre targata Gratteri, al segretario dell’Udc Lorenzo Cesa.

All’assoluzione di ieri di Mimmo Tallini, se ne è affiancata un’altra, per pura coincidenza temporale, che riguarda sempre un uomo delle istituzioni calabresi accusato di concorso esterno. Un’altra sconfitta della Dda, e non solo. Perché Giampaolo Bevilacqua, esponente del centrodestra ed ex vicepresidente della Provincia di Catanzaro, è stato assolto in via definitiva dalla cassazione, su ricorso dell’avvocato Francesco Gambardella, per i reati di concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione nei confronti di un imprenditore di Lamezia, in seguito a una vicenda processuale kafkiana, dovuta a un esasperante atteggiamento persecutorio da parte degli esponenti dell’accusa, che lo hanno trascinato dal 2013 di tribunale in tribunale: condanna in primo grado, assoluzione in appello, annullamento con rinvio in Cassazione, condanna in appello e oggi assoluzione definitiva in cassazione. Ditemi se non sono necessari i referendum per mettere almeno un po’ di ordine nell’accanimento giudiziario.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.