Il caso
Inchieste combinate tra Gratteri e Travaglio: il Pm arresta senza prove, il Fatto ne fa uso politico
Avanti un altro. Il tribunale della libertà di Catanzaro ha annullato la misura cautelare nei confronti del notaio Rocco Guglielmo, indagato e al divieto di dimora dal 21 gennaio, quando il procuratore Gratteri lo aveva coinvolto nell’operazione “Basso profilo”. Era l’inchiesta che aveva costretto Lorenzo Cesa a dimettersi da segretario dell’Udc per un pranzo che lui neanche ricorda. Erano anche le stesse indagini condotte con tanto rigore da mandare ai domiciliari l’ex assessore Selvino solo perché si chiamava Giuseppe ed era stato confuso con un altro che aveva partecipato a una festa cui lui non era mai andato. Ora tocca al notaio.
Certo che con i “colletti bianchi” va proprio male al procuratore Gratteri. E anche ai gip che manifestano pensieri conformi a quelli del rappresentante dell’accusa. Proprio sull’argomento, una botta micidiale è arrivata, oltre al solito Gratteri, che è ormai un habitué del flop, al giudice delle indagini preliminari Giulio De Gregorio, quello che si era impegnato per ben 357 pagine per dimostrare che Mimmo Tallini, ex presidente del consiglio regionale di Calabria, era mafioso (“esterno”) e dedito al voto di scambio con gli uomini della ‘ndrangheta. Una smentita che è un vero schiaffone arriva dal tribunale del riesame, che ha depositato le motivazioni che hanno imposto la cessazione delle misure cautelari nei confronti di Tallini, che era ai domiciliari. “Un’ombra dietro le ombre”, così il gip aveva definito l’esponente di Forza Italia. Contro il quale si erano subito scagliati i peggiori tagliagole militanti, Marco Travaglio e Nicola Morra.
Sentenze definitive di “mafiosità” erano state emesse con la consueta pruriginosa fretta. Eppure sarebbe bastato leggere con calma le 357 pagine, anche senza aver svolto per tanti anni il ruolo di cronista giudiziario (come è capitato a me, ma anche a Travaglio), per scoprire tra riga e riga il nulla assoluto. L’inchiesta si chiama “Farmabusiness”. Mimmo Tallini, che all’epoca era assessore, avrebbe agevolato la costituzione di una società per la distribuzione di farmaci cui era interessata la famiglia della cosca Grande Aracri di Cutro. Famiglia con cui lui non ha avuto mai alcun contatto. Non c’è un incontro, non c’è un’intercettazione che lo colleghi. Ma questo per il giudice è molto sospetto. Non si capacita del fatto che Mimmo Tallini non salga mai su macchine altrui e voglia sempre guidare la propria, e anche il fatto che non si riesca mai a beccarlo al telefono con qualche mafioso. Forse perché le persone con cui lui era in contatto per quelli che lui riteneva fossero buoni affari, tanto che vi aveva trovato un posto di lavoro per il figlio, erano ai suoi occhi persone insospettabili.
Uno in particolare, Domenico Scozzafava, era un antennista di sua conoscenza sia per la sua attività professionale, ma anche perché in passato si era mostrato utile come “grande elettore”. Scozzafava era un “cavallo di Troia”, scrivono oggi i giudici del tribunale presieduto da Giuseppe Valea. Una sorta di Giano bifronte, insomma. Da un lato favoriva l’ingresso della famiglia Grande Aracri nel business farmaceutico, dall’altro usava il suo rapporto professionale e politico con Tallini per avere qualche entratura in più nelle istituzioni che agevolassero la sua società con permessi e passaggi burocratici. Certo, magari se ne vantava un po’ nei suoi rapporti con gli “altri”, ma teneva la bocca ben cucita sulle sue relazioni inconfessabili quando varcava la soglia dell’assessorato.
Non esiste nessun indizio, proprio nessuno, del contrario. Eppure, nella conferenza stampa del novembre dell’anno scorso il procuratore Gratteri era parso molto sicuro: «Grazie all’operato dell’onorevole Tallini – aveva detto – è stato possibile per l’associazione ottenere queste facilitazioni…In cambio ci sono i voti: per questo motivo gli contestiamo il concorso esterno e lo scambio elettorale politico-mafioso». E aveva chiesto per lui il carcere. Allo squillo di tromba aveva subito risposto il Fatto quotidiano, che ne aveva anche fatto un uso politico. Con grande spolvero di titoloni aveva chiesto “Dialogare con questi?” E poi: “Altro che inciucio. Mentre metà del Pd vuole B. come alleato, Gratteri scopre i voti di scambio del ras forzista con la cosca nel business sanità”.
Tutto azzerato. Il tribunale del riesame contesta l’ipotesi dell’accusa e l’ordinanza del gip punto per punto. Nessun contatto Tra Tallini e i mafiosi. Nessuna intercettazione. Quanto ai voti, l’antennista “cavallo di Troia” è stato così utile che i numeri portati a casa in quella tornata in cui il candidato avrebbe avuto l’aiuto della cosca locale erano scesi da 11000 a 750.
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